Dopo la decisione di utilizzare i MQ9 Reaper per il pattugliamento delle coste libiche - utilizzo che Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa aveva considerato buona a metà - si passerà al loro uso sopra la Terra dei Fuochi - con il tentativo di individuare i suoli inquinati. Droni che precedentemente erano stati utilizzati per tenere sotto controllo le colate e le emissioni gassose dell'Etna - nello specifico con l'Hammerhead di Piaggio Aereo -, per monitorare la Costa Concordia e per altre campagne di monitoraggio ambientale.
Drone Falco delle Nazioni Unite
Ed è un drone italiano, il Falco della Selex Es - azienda di Finmeccanica - a essere impiegato per la prima volta durante operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite. Lo scenario delle operazioni sarà il Congo, dove il compito del Falco - che è già operativo negli eserciti di Pakistan, Libia, Giordania e Arabia Saudita - sarà quello di tenere sotto osservazione i volatili confini congolesi con Ruanda e Uganda. Il Congo e l'Onu hanno accusato il Ruanda e l'Uganda di inviare armi e soldati al gruppo ribelle congolese M23, ma entrambi i Paesi hanno negato.Ma ad alzare l'interesse attorno gli UAV in questi giorni, ci sono anche le dichiarazioni del Vaticano. Se ne è occupato Michele Pierri su Formiche, che ha riportato le parole di Mons. Silvano Maria Tomasi, Osservatore permanente per la Santa Sede presso le Nazioni Unite, che intervenendo a Ginevra in occasione dell’incontro annuale degli Stati parte della Convenzione sull’interdizione e limitazione dell’uso di alcune armi convenzionali che possono produrre effetti traumatici eccessivi o indiscriminati (CCW), ha parlato proprio dei droni. «Le armi autonome letali e i droni, pur diversi tra loro, hanno in comune le stesse implicazioni umanitarie [...] e hanno la loro criticità nell'incapacità di dare giudizi morali su vita e morte, di rispettare i diritti umani e di osservare il principio di umanità», ha detto Tomasi. E ha aggiunto: «Ci sono popolazioni che vivono nella paura costante dei loro attacchi» e «fonti attendibili parlano di un numero elevato di vittime tra la popolazione civile».
Tomasi ha aperto poi il problema del dilemma etico dietro agli attacchi da remoto: se è vero infatti che i droni tolgono dalle mani dell'uomo lo sporco di sangue dello scontro diretto, questo è sufficiente? E ancora, chi diventa responsabile se qualcosa va storto? «Le decisioni su vita e morte – rimarca – sono di una difficoltà unica, una responsabilità pesante per un essere umano e carica di sfide. Tuttavia, sono decisioni per le quali una persona, capace di ragionamento morale, è particolarmente adatta. Un sistema automatizzato, preprogrammato a rispondere a determinati input di dati, fondamentalmente dipende dalla programmazione piuttosto che da una capacità innata di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato».
Ragione per cui la gestione dell'automatizzazione della guerra è molto complicata: se da un lato tali tecniche dovrebbero permettere di ridurre al massimo le perdite di vite umane, è estremamente delicata la depersonalizzazione. I droni non sono dotati di discernimento, per dirla come la direbbe la Chiesa. Per di più, resta fissa l'ampia e controversa questione - anche in questo caso etica e morale, antropologica per certi aspetti - degli omicidi predeterminati. Gli attacchi con i droni, sono stati utilizzati per effettuare omicidi mirati, in soggetti sospettati di attività terroristiche, ai quali non è stata concessa la possibilità di difesa: si è scelta l'eliminazione fisica, al processo. È umano questo? E ancora: con tale strategia si è scelto di considerare chiunque fosse in compagnia di certi elementi, un'altra potenziale minaccia. Non è un caso isolato infatti, che la morte di un terrorista comporti anche quella di chi era con lui, nello stesso luogo, al momento dell'attacco - e qui, ancora, si capisce come il problema delle perdite civili è legato a una mera questione di contingenze.
Sempre in questi giorni, è un articolo sul quotidiano della Cei, Avvenire, in cui Raul Caruso, ricercatore presso la facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Università Cattolica del Sacro cuore a Milano, scrive un commento proprio sul testo del Trattato internazionale sul commercio di armi convenzionali. «Il Trattato - spiega Caruso - non comprende in maniera esplicita la grande varietà dei robot armati guidati a distanza, cioè il settore dell’industria militare in vertiginosa crescita. L’esclusione dei robot armati creerebbe una divisione netta tra un mercato tradizionale regolamentato e un mercato nuovo senza limitazioni».
Circostanza che andrebbe modificata già dalla prossima riunione fissata per maggio 2014. Ma tutto è complicato dagli Outlook di mercato: attualmente a livello globale, commercio e produzione di robot armati, valgono tra i 5 e i 7 miliardi, ma secondo le previsioni tali cifre sarebbero destinate a raddoppiare nel giro di pochi anni.