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Il vecchio avanguardista e la distruzione del mondo

Creato il 22 marzo 2015 da Francosenia

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I situazionisti sono stati l'ultima avanguardia?
di Anselm Jappe

Oggi, va di moda presentare i situazionisti come "l'ultima avanguardia artistica". Un'affermazione assurda che pretende di stabilire una connessione fra i situazionisti ed altre pretese avanguardie degli anni 1960, come "Fluxus" o "Happening". In realtà. queste avanguardie venivano ignorate, quando non erano disprezzate, dai situazionisti. Altri credono così di poter passare il vessillo dell'avanguardia ai movimenti artistici attuali o di poter ora vendere, come novità sempre interessanti, gli elementi unici della produzione situazionista dei primi anni - come il detournement, la deriva o la psicogeografia - strappandoli dal loro contesto. D'altra parte, caratterizzare i situazioni come "l'ultima avanguardia" contiene una verità involontaria. La loro storia, o per lo meno quella di Guy Debord, ha portato alla sua conclusione logica la traiettoria storica delle avanguardie.
Essa ha messo un punto di fine ed ha mostrato allo stesso tempo l'impossibilità di un'avanguardia nell'attualità. Ci ha fatto comprendere che l'avanguardia non è una categoria sovra-storica eterna, non più di quanto lo sia la stessa arte, ma appartiene ad un determinato momento della società capitalistica.
Si sa che Guy Debord non ha mai desiderato di essere un'artista nel senso abituale del termine, ed ancor meno un teorico dell'estetica. Quello a cui mirava era il superamento dell'arte e la sua realizzazione nella vita. Questo ha dichiarato essere il programma sociale e lo ha eseguito, in larga misura, nella sua vita. Anche l'Internazionale Situazionista e le sue azioni, incluso il Maggio 68, dovevano essere una sorta di opera d'arte. In questo caso, Debord ha effettivamente portato a termine il ciclo delle avanguardie iniziato nella seconda metà del XIX secolo. Se la pretesa delle avanguardie è sempre stata quella di auto-liquidarsi per dissolversi nella vita. Già Kant ed Hegel avevano affermato che l'arte aveva come missione quella di operare la mediazione fra il sentimento e la ragione, fra la forma ed il contenuto, fra la natura e l'uomo, fra l'individuo e la società. Nell'arte, si supponeva di poter riconciliare questi aspetti e riunire quello che era separato. Per Hegel, l'arte è un'alienazione dello Spirito, destinata alla fine a tornare in quell'unità superiore che è lo Spirito stesso.
Certamente, gli artisti moderni non intendevano seguire i precetti di questi filosofi o di altri pensatori. Tuttavia, quando l'arte rifletteva sulla sua propria funzione, essa generalmente si considerava come un tentativo di unirsi alla vita e di annullare quella separazione fra le diverse sfere che si accentuava sempre più nella società capitalista. L'arte era destinata a rappresentare la soggettività pura, la libera creaziione ed il soggetto che domina il suo mondo. Però, era inevitabile entrare in conflitto con quello che appariva come la negazione reale della soggettività attuata dalla logica della moderna produzione. Quest'approccio riuniva le più diverse forme di arte moderna.
L'aspirazione a voler riportare l'arte nella vira non attiene solamente al surrealismo e alle altre correnti che si possono chiamare romantiche, anche se in esse è più visibile. Questo desiderio lo si trova ugualmente in correnti opposte, fra cui il costruttivismo, così come in tutte le correnti del funzionalismo: in Mondrian, in Bauhaus, ecc.. Tutte queste correnti volevano mettere fine allo status separato dell'arte, affinché questa cambiasse la realtà della vita capitalistica, sottomessa unicamente al criterio di redditività economica - alcuni immaginavano quest'unità fra arte e vita perfino come una rivoluzione sociale ispirata dalla poesia, mentre altri la concepivano come l'applicazione dei principi artistici alla produzione in serie di grattacieli, asciugamani e tazze da caffè. Da questo consegue che tante avanguardie avevano come denominatore comune la volontà di non fare solamente arte, o di non fare arte del tutto. Questo fatto non viene smentito dal vero e proprio culto dell'arte cui si abbandonavano numerose correnti, a volte con accento quasi religioso. L'ipervalorizzazione dell'arte deriva dal fatto che le avanguardie erano coscienti della povertà che assume la vita sotto il capitalismo.
Essa mirava perciò, almeno inizialmente, ad attenuare la realtà con l'aiuto dei valori artistici. Questa è un'aspirazione tipicamente moderna. Tale obiettivo non è proprio né dell'arte delle società pre-capitalistiche, né dell'arte accademica. Arrivare alla sua sparizione, è quindi quello che rimane scritto - come si ama dire oggi - nel codice genetico delle avanguardie.
Furono i surrealisti, gli artisti che proclamarono, nel modo più cosciente, questa necessità dell'auto-superamento dell'arte. E' noto, tuttavia, che essi accettarono, molto rapidamente, che la loro rivolta divenisse oggetto di museo e ricadesse così nuovamente nell'arte. I situazionisti, assumendo esplicitamente l'aspirazione iniziale dei surrealisti, tentarono di attraversare definitivamente il Rubicone: rifiutarono lo status di artisti e cercarono di fomentare una rivoluzione sociale che fosse all'altezza delle promesse contenute nell'arte moderna.
Per motivare la necessità di superare l'arte, Debord fece ricorso (al contrario delle teorie delle avanguardie precedenti) alla critica marxista del feticismo della merce. Come si sa, Debord ha chiamato "dello spettacolo", lo stato contemporaneo del feticismo della merce. Contro tutti i recuperi postmoderni ed estetizzanti di questo concetto, va sottolineato che, per Debord, lo spettacolo è una forma di merce, nel senso di Marx. Nello spettacolo, la merce si presenta come qualcosa di dato e spinge lo spettatore ad una permanente contemplazione passiva. Si tratta di superare ('aufheben', in senso hegeliano) l'arte, poiché anch'essa è una forma di spettacolo che si contempla passivamente. E' quindi una forma di feticismo. Ma nella misura in cui l'arte diventa un progetto volto alla trasformazione cosciente della vita, essa assume una funzione chiaramente "defeticizzante".
Nel XX secolo, altre due estetiche importanti, di ispirazione marxista, hanno attribuito all'arte una funzione "defeticizzante": quella di Theodor W. Adorno e quella dell'ultimo Lukacs. In Adorno, è soprattutto nell'arte astratta che appare una tale funzione. L'arte deve abbandonare la credenza illusoria secondo la quale sotto il capitalismo, l'uomo sarebbe ancora un soggetto. Sebbene possa sembrare paradossale, è grazie ad una citazione di Bertolt Brecht che Adorno è stato in grado di spiegare quest'idea:
"Quel che rende tanto complicata la situazione, è il fatto che la semplice 'replica della realtà' ci dice meno che mai su questa realtà. Una fotografia delle fabbriche Krupp o AEG non dice quasi niente su queste istituzioni. La realtà autentica è diventata funzionale. La reificazione delle relazioni umane, come per esempio, la fabbrica, non si manifesta più" [1].
Per Adorno, il feticismo (la subordinazione dell'individuo alle cose) costituisce un fenomeno reale. L'arte deve esprimere tale dominio esercitato da forze astratte, la perdita di senso, la distruzione del linguaggio. Ma lo deve fare utilizzando tutti i mezzi artistici esistenti. Solamente così, l'arte sarà all'altezza delle attuali forze produttive e potrà lasciar intravvedere un altro uso possibile di tali forze produttive. E' in questo che risiede, secondo Adorno, il lato emancipatore dell'arte moderna. Questo indica la possibilità di una relazione differente, non repressiva, tra soggetto e natura, e sottrae l'opera d'arte all'imperativo categorico della società delle merci, secondo il quale tutte le cose devono essere "utili" e partecipare allo scambio. In tal modo, l'arte moderna, nel suo essere astratta ed apparentemente distante dall'esperienza del vissuto è, in realtà, secondo Adorno, sempre legata allo sviluppo della realtà.
Al contrario, per Lukacs, l'arte che si pretende "defeticizzante" - dev'essere "realistica", e non astratta, in quanto essa deve avere il compito di ricollocare l'uomo al centro della società, mentre l'apparenza feticistica gli fa credere che egli non si trovi più in questo centro. La sua concezione di feticismo è, così, diametralmente opposta a quella di Adorno: il feticismo, nel senso di Lukacs, attribuisce falsamente le azioni degli individui e dei gruppi sociali a delle forze impersonali, sottratte al contro e alla responsabilità umana. Di conseguenza, l'arte, per essere defeticizzante", dev'essere anche "antropomorfizzante". Deve mostrare che, sotto la superficie reificata, è l'essere umano quello che agisce.
Il grande esempio, citato da Lukacs, è Balzac. L'arte ha anche la missione di rivelare che la mancanza di senso, l'isolamento e l'assurdo cui l'uomo moderno si vede esposto, non costituiscono la realtà più profonda, ma un'apparenza feticistica dietro cui si nascondono gli interessi di classe. Gli stessi autori che per Adorno rappresentano la vera critica del feticismo, come Beckett o Kafka, ma anche la pittura espressionista o surrealista (in misura minore), sono, agli occhi di Lukacs, l'apice della feticizzazione (sebbene abbia cambiato opinione riguardo all'opera di Kafka).
Le differenti posizioni estetiche di Debord, Adorno e Lukacs sono strettamente legate alle loro differenti interpretazioni del concetto di feticismo. In Lukacs, il feticismo è soltanto una forma di falsa coscienza, una falsa rappresentazione del mondo che bisogna sostituire con una visione giusta, che egli denomina "realista". Per Adorno e per Debord, le relazioni umane sono realmente falsificate. Il feticismo ha trasformato la natura della vita sociale. Bisogna denunciare lo scandalo, invece di vedere in esso una semplice mistificazione. Le diverse interpretazioni del feticismo corrispondono a valutazioni differenti del periodo post-bellico.
Secondo Adorno, l'intervento dello Stato e dei grandi monopoli, a partire dagli anni 1930, ha bloccato la dinamica interna del capitalismo: le forze produttive non si trovano più in contraddizione con i rapporti di produzione. Per la teoria critica di Adorno, la situazione politica, economica e sociale è completamente congelata e rimane solamente l'arte, come unica libertà e come unica speranza. Per i situazionisti, il capitalismo del dopoguerra ha conosciuto una rapida evoluzione, ed il momento della fine della società di classe sembra avvicinarsi, poiché il nuovo proletariato comincia a smettere di sostenere il suo ruolo di spettatore passivo. Questo mette una fine all'arte, così come a tutte le altre alienazioni. Per Lukacs, infine, la società borghese rappresenta una tappa importante nello sviluppo dell'umanità, seppure sia in declino e sia destinata a soccombere nella concorrenza con i paesi socialisti.

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Nessuna di queste concezioni appare giusta, in quanto nessuna tiene conto della dinamica interna che porta il capitalismo alla sua crisi: essenzialmente, la contraddizione sempre più acuta fra la forma astratta (il valore delle merci) ed il contenuto concreto. Il modo di produzione capitalista si basa sullo sfruttamento del lavoro vivo e, allo stesso tempo, deve fare tutto il possibile per ridurre tale lavoro vivo utilizzando le macchine: non esiste soluzione ad una simile contraddizione che non smette di crescere nel corso di tutto il XX secolo.
Tuttavia, né per Adorno, né per Lukacs, né per Debord, il capitalismo è condannato dalla sua stessa dinamica interna ad entrare, un giorno, in una crisi profonda. Essi vedono nel capitalismo un sistema stabile, cui solo l'intervento di un soggetto esterno potrà mettere fine. Quest'intervento sembra possibile a Lukacs e a Debord (per quanto sia in maniere fondamentalmente differente), mentre Adorno praticamente abbandona ogni speranza di vederlo mettersi in moto.
Ecco perché l'arte moderna di cui Adorno fa l'elogio, corre il rischio di riprodurre semplicemente la vita, e di abbellirla - è esattamente questo che i situazionisti rimproverano alle tendenze artistiche del loro tempo. Adorno cita sempre Beckett e Kafka come autori esemplari, in quanto denunciano una situazione insopportabile - ma oggi questi autori appaiono più come la coscienza infelice ed impotente di una miseria presente. Quindi, anche l'arte negativa può diventare un ornamento ed un monumento eretto a gloria della rassegnazione.
D'altra parte (e contrariamente alle speranze di Debord), l'evoluzione sociale non si è verificata nel senso di un superamento dell'arte. Lo spettacolo ha dimostrato di essere capace di resistere agli assalti (come nel 1968) ed è riuscito in seguito ad arrivare alle nuove generazioni che non hanno conosciuto nient'altro che lo spettacolo stesso.
Durante gli anni 1950 e 1960 (gli anni dell'agitazione situazionista), l'arte, sia quella moderna che quella classica, sembrava una cosa assai modesta in relazione alla possibilità di realizzare il suo contenuto nella vita quotidiana. Ma lo spettacolo che poi ha finito per trionfare è ancora molto al di sotto del livello dell'arte tradizionale.
Nelle sue opere più tarde, Debord comincia ad apprezzare l'arte del passato: egli lamenta che non ci sia più un Tucidide o un Donatello, lamenta la distruzione dei dipinti e delle antiche costruzioni e rivela il suo gusto per la metrica e per gli autori classici. Non va visto in questo interesse per la "grande" cultura, una semplice evoluzione personale di Debord e ancor meno una ritrattazione delle sue opinioni precedenti. Dà solo conto dell'inutilità di continuare nella distruzione artistica dei valori ereditati.
Il capitalismo è una "società senza qualità", una società che non può avere una cultura propria. Il suo fondamento è il valore, la semplice quantità di lavoro astratto rappresentato in una merce, senza che si tenga contro della sua utilità o della sua bellezza. Il capitalismo ha come unico obiettivo quello di accumulare tautologicamente il lavoro morto, poiché è strutturalmente indifferente ad ogni contenuto. Da qui, l'impossibilità di una cultura propriamente capitalistica.
Il capitalismo può soltanto (ed anche questo solo nella sua fase iniziale, fondamentalmente nel XIX secolo) dare un'espressione più elaborata ai contenuti derivati dalle società che l'hanno preceduto. Le modificazioni di tutte le condizioni di vita che esso ha prodotto, e la moltiplicazione dei mezzi tecnici, hanno aumentato le possibilità di espressione, ma i contenuti da esprimere (la ricchezza dell'esperienza umana) possono provenire soltanto dal mondo non capitalista.
L'arte conosce allora un intenso sviluppo, finché il nuovo principio capitalista era ancora in conflitto con i residui delle epoche precedenti. L'arte del XIX secolo viveva una tensione fra la tendenza sociale all'astrazione e gli individui che non erano ancora del tutto sottomessi. Subito dopo che il capitalismo ebbe cominciato a "coincidere con il suo concetto" - per usare di un'espressione hegeliana - il significativo sviluppo dei mezzi divenne tautologico - un fine in sé stesso - proprio come la produzione del valore. Il capitalismo aveva realizzato la fine dell'arte, alla stessa maniera in cui aveva, in un'altra occasione, creato l'arte come sfera separata. Forse una funzione esplicitamente critica dell'arte, oggi non è più necessaria. Ogni giorno siamo testimoni di come la società capitalista entri in collasso da sé sola.
Allo stato attuale, è il problema delle alternative che si pone: cosa accadrà quando il capitalismo collasserà, lasciando dietro di sé un cumulo di rovine? Si tratta di salvare una base per lo sviluppo futuro, oltre il nichilismo della società attuale, affinché il capitalismo non trascini nella sua tomba la società intera. Pertanto, si vede l'essenza del capitalismo non solo nell'oppressione e nello sfruttamento economico, ma anche nell'impoverimento e nella distruzione socio-culturale, dimostrandosi così che il ruolo dell'arte moderna appaia indipendente dalle sue intenzioni, in quanto decisamente meno critica di quello che generalmente si pensi. Di fatto, l'aspetto iconoclasta dell'arte moderna si rivela essere ambiguo.
Il processo di decomposizione delle forme artistiche, cominciato con le avanguardie, ha accompagnato il trionfo del capitalismo sui residui delle epoche precedenti. Quelle avanguardie che si volevano rivoluzionarie credevano che la borghesia conservasse il suo potere a livello di "sovrastrutture", dei comportamenti, dei valori e della vita quotidiana. L'arte si proponeva pertanto di cambiare le strutture, e di crearne di nuove. Ma così radeva al suolo soltanto quello che era già crollato, come direbbe Nietzsche. Un uomo in rottura totale con il passato e con le tradizioni (che ignora), un uomo che non segue il proprio pensiero razionale e logico, ma obbedisce ad impulsi inconsci, indifferente alla morale e separato dai legami sociali, un uomo che percepisce il mondo come sotto l'effetto di una droga e vaga a caso: si può capire come, nel 1925, un'idea come questa abbia potuto affascinare quelli che non sopportavano più la monotonia della vita borghese.
Ma questo individuo che i surrealisti chiamavano "desiderante" divenne realtà nella forma dell'individuo contemporaneo ed in una maniera tanto crudele quanto ironica. Per imporsi nella sua integrità, la società di mercato capitalista aveva necessità di un individuo del tutto "nuovo", e quest'uomo "nuovo" stava anche nel progetto dichiarato di numerose avanguardie artistiche.
Particolarmente di rilievo in questa visione è il culto che i surrealisti, le diverse avanguardie letterarie e, talvolta, gli stessi situazionisti, dedicarono al marchese de Sade, culto che ai nostri giorni si è trasformato in luogo comune. Il ripudio di ogni valore morale tradizionale, fondamentale come la proibizione di uccidere, venne considerato un atto di liberazione permanente al fine di raggiungere la realizzazione di ogni desiderio. In realtà, come hanno dimostrato Horkheimer e Adorno, in "Dialettica dell'Illuminismo", il mondo descritto da Sade costituiva un'anticipazione del sistema industriale e del soggetto moderno della concorrenza totale, la cui unica regola è il diritto del più forte e di chi è disposto a tutto in cambio di piaceri meccanici e ripetitivi. Il caso del marchese de Sade mostra chiaramente come la liberazione totale di un soggetto feticizzato è solo la liberazione totale del soggetto capitalista.
Come si sa, l'arte e la letteratura moderna non sono lontane dal compito che è stato loro assegnato: quello di rappresentare, o di imitare, la natura. Allo stesso tempo, le scienze non si sono limitate ad imitare la natura, ed hanno cominciato massicciamente a "reinventarla". Il distaccarsi del "significante" rispetto al "significato", è stato rappresentato come una liberazione, uno sviluppo dello spirito umano. Tale abbandono della mimesi ha costituito senza dubbio l'origine di tutto quello per cui l'arte moderna è stata grande. Ma come ignorare che è andato di pari passo con un processo nel corso del quale la tecnica e la scienza hanno fatto diventare "superflua" la natura, che si è affermato l'uomo come creatore del suo stesso mondo, un mondo indipendente dalla natura? Come ignorare che i fantasmi di ogni potere e di ogni manipolazione sono un tratto comune dell'arte moderna e della tecnica? Nel 1914, il poeta cileno Vicente Huidobro, fondatore del "creazionismo", ha proclamato che la poesia non voleva più servire la natura, ma creare alberi più belli di quanto lo fossero gli alberi naturali. A quei tempi, un tale programma potrebbe sembrare molto poetico. Oggi, verrebbe visto come un'anticipazione della manipolazione genetica.
Si è detto quasi sempre che la poesia moderna, e la cultura moderna in generale, intese secondo le intenzioni dei suoi creatori, erano una protesta contro il progresso "senz'anima" (interpretazione conservatrice), o una protesta contro il capitalismo (interpretazione di sinistra). Nei due casi, la poesia e la cultura moderna avrebbero rappresentato un'opposizione all'evoluzione tecnologica ed economica. Ma quello che più abitualmente non viene visto, è che l'arte moderna nonostante la sua attitudine contestatrice talvolta radicale, evolve quasi sempre all'interno della cornice costituita dalla società di mercato, agendo frequentemente come un involontario pioniere. Si vede facilmente il parallelo con il marxismo del movimento operaio [2]. Il produttivismo dell'industria trova il suo prolungamento nel produttivismo della poesia. Il dominio della forma sul contenuto costituisce ugualmente il centro della cultura moderna, come nella logica del valore. L'isomorfismo fra la poesia moderna e la logica del valore è talmente chiaro che lo si ammette sempre apertamente.
A questo proposito, si può citare lo studio del ricercatore tedesco Hugo Friedrich, "Struttura della Lirica Moderna" [3], perché, se Friedrich non è un sostenitore incondizionato della lirica moderna, egli è ancora meno ostile nei suoi confronti. In poche parole in cui stabilisce la relazione tra l'evoluzione lirica e l'evoluzione sociale. esprime l'opinione corrente riguardo al carattere "contestatore" della poesia moderna: secondo lui, si può cadere nel "tentativo più estremo" di "salvare per mezzo della dittatura dell'immaginario, la libertà dello spirito, in una situazione storica in cui il razionalismo scientifico e gli apparati di potere dell'ordine culturale, tecnico ed economico finiscono per organizzare e collettivizzare la libertà, sottraendola così alla sua propria natura". Ciò nonostante, le osservazioni di Friedrich mostrano involontariamente che a partire da Rimbaud e Mallarmé (così come tutte le altre tecniche e procedimenti dell'arte moderna: Friedrich evoca sempre Picasso), la poesia non ha combattuto la logica della merce e della scienza, anzi al contrario, in realtà essa l'ha imitata anticipatamente. La legge fondamentale della poesia moderna risiede nella decomposizione e nella disarticolazione del reale, affinché la creazione avvenga, con l'aiuto di elementi sprovvisti di senso e di relazioni fra loro, a partire da nuove costruzioni arbitrarie, che non corrispondono più a nessuna esperienza.

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Secondo Friedrich, i concetti chiave della lirica moderna sono: la deformazione, l'astrazione, la dissonanza, la disumanizzazione, la preferenza per l'inorganico, l'ammirazione per la bellezza della città senza uomini, l'imitazione della matematica, l'immaginazione dittatoriale, i semplici giochi di parole, la libertà puramente negativa, il disorientamento, la tendenza alla crudeltà, la mancanza di pulsioni umane, l'indifferenza. Nella poesia moderna, il movimento, il ritmo e la forma diventano obiettivi in sé.
Il movimento tautologico del valore, aggiungiamo, si esprime nell'autoreferenzialità dell'arte: in una poesia il cui contenuto è soltanto atto poetico propriamente detto (come in Mallarmé) e, in generale, nei contenuti arbitrari ed intercambiabili che vogliano solamente esprimere una dinamica che, in quanto tale, è del tutto vuota (questo avvenne nel 1910 con la pittura rayonista) [4]. Come la merce, la poesia moderna abolisce tutte le differenze: fra il bello ed il brutto, fra l'alto e il basso, fra lo spazio e il tempo, fra l'interno e l'esterno. Il tempo e lo spazio di staccano dall'esperienza e diventano completamente astratti. Certo, quest'affinità fra l'arte moderna, la scienza e l'industria è stata sempre messa in rilievo, spesso dalle stesse tendenze artistiche (è vero che molte fra esse non avevano alcuna esplicita intenzione di criticare la società del loro tempo). L'affermazione secondo cui la distruzione delle forme artistiche tradizionali costituirebbe di per sé una critica della società moderna è stata ripetuta assai più spesso dalla riflessione sull'arte, di quanto abbia fatto l'arte stessa [5].
Nella maggior parte dei casi, l'arte voleva "andare con il suo tempo" e considerava vantaggioso utilizzare procedure simili a quelle usate dalla scienza. La scienza e l'industria, la tecnica e la vita urbana, agli occhi degli artisti moderni, erano degli obiettivi dati e socialmente neutri; anche quando l'arte si proponeva una funzione critica, essa si limitava all'intento di cambiare l'uso sociale di questi dati. In diverse correnti costruttiviste l'adozione di metodi scientifici non è mai eccessiva. Come contropartita, può sorprendere invece nel caso di certe correnti "romantiche", come il surrealismo, che pretendeva di cercare quello che è inconscio e magico, arcaico e primitivo. Ma gli artisti di queste correnti applicavano nelle loro opere anche la legge fondamentale dell'arte moderna: isolare e ricomporre. Ci troviamo davanti ad un tratto fondamentale che è comune a tutte le tendenze artistiche moderne, il che prova, inoltre, che la caratterizzazione (o l'auto-caratterizzazione) dell'arte moderna come "irrazionale" (non importa se enunciata come censura o come elogio) è inappropriata: essenzialmente, l'arte moderna si trova inscritta nel quadro della ragione di mercato e quando cade nell'irrazionale, generalmente si tratta di quel genere di irrazionalità che costituisce il semplice rovescio della ragione di mercato.
Si può obiettare che l'arte moderna non si riduceva semplicemente alla logica dell'astrazione sociale né che chiudeva gli occhi davanti ad essa, ma che mirava all'appropriazione di nuove tecniche (considerate sempre, come abbiamo già detto, sviluppi neutri e non elementi strutturalmente negativi) per fare di esse l'uso migliore. Non rifiutare astrattamente la modernità, ma creare una modernizzazione migliore; non è soltanto l'obiettivo dichiarato di alcuni movimenti artistici, ma anche dai situazionisti: " (...) non c'è libertà artistica possibili se non ci appropriamo dei mezzi accumulati nel corso del XX secolo, che sono per noi i veri mezzi di produzione artistica (...) Il dominio della natura può essere rivoluzionario oppure può diventare l'arma assoluta delle forze del passato" [6]. Questo si trova anche nella base estetica di Adorno: "L'arte è moderna grazie alla mimesi di ciò che è indurito ed alienato. E' così, e non con la negazione della realtà, che essa diventa eloquente (...) Baudelaire non impreca contro la reificazione, non la riproduce neppure, egli protesta contro di essa nell'esperienza dei suoi archetipi" [7]. Ma tali osservazioni non invalidano in niente le analisi sviluppate sopra, perché esiste una tendenza a sottostimare le similitudini indipendenti dall'intento soggettivo dell'artista. Friedrich sottolinea il carattere anti-soggettivo della poesia moderna, che passa sempre per essere stranamente soggettivo. In realtà, il soggettivo arbitrario ed il dispotismo nei confronti dei contenuti (del materiale poetico) si invertono continuamente, in assenza totale del soggetto, assorbito dall'oggetto. Mallarmé, soprattutto, con le sue poesie eteree sugli angeli, gli spettri e le stanze vuote, esprime senza nessuna apparente aggressività la "pulsione nichilista", il "desiderio di annichilire il mondo", che anima la società di mercato. Quest'amabile professore di liceo ha cercato di sbarazzarsi del mondo oggettivo per scambiarlo con il puro linguaggio [8]. Egli vede in questo l'unica via d'uscita di fronte al niente ontologico che, nella sua visione, rappresenta la vera forma dell'assoluto. Friedrich fa esplicitamente, dello "annichilimento del reale", una caratteristica di tutta la lirica moderna. Con Mallarmé, le cose esistono solamente in quanto distrutte. Egli diceva di sé stesso: "La distruzione è stata la mia Beatrice", e la sua creazione più nota è stata la pagina bianca. In generale, i poeti e gli artisti moderni hanno allegramente proclamato il loro programma di distruzione, opponendosi sempre alla mentalità "costruttiva" dell'esecrato borghese. "L'assenza del mondo" che Lukacs ha attribuito con aggressività, ma non senza ragione, all'arte moderna, è la conseguenza di questo previo "annichilimento del mondo".
Le grandi utopie hanno sempre partecipato dell'opera distruttiva del capitalismo. L'idea di poter imporre alla realtà, concetti nati dalla testa e di fare "tabula rasa" di ogni tradizione, corrisponde, da un lato, alla logica dell'artista moderno che voleva rimodellare il mondo secondo la sua pura soggettività; dall'altro lato, la logica del valore che ha ricostruito il mondo secondo la sua propria immagine, e gli imposto violentemente una forma senza contenuto. Questa rimodellazione del mondo può essere opera di un apparato di Stato (lo Stato stalinista più di qualsiasi altro), ma può essere attuato anche, seppure in maniera dissimulata e meno visibile, dalle forze di mercato. Tutto questo è riscontrabile in maniera particolare nel dominio dell'architettura razionalista e funzionalista, facile da criticare. Lo stesso vale per l'architettura apparentemente opposta, elaborata da un membro dell'Internazionale Situazionista come l'architetto olandese Constant. In fin dei conti, la città utopica "New Babylon", progettata da Constant (progetto che, secondo il suo autore, avrebbe dovuto coprire l'intero pianeta, e che venne esposto al Centro Pompidou nel 1989, e più recentemente a Dokumenta 2002, a Kassel), non è così diverso dalla "Città radiosa" realizzata da Le Corbusier, da quella "macchina dell'abitare", come quest'ultimo chiamava con orgoglio le proprie costruzioni, in rapporto alle quali l'architettura situazionista di Constant veniva considerata un contrappunto.
Oggigiorno, l'arte non deve più aiutare la "distruzione del mondo" attuata dal valore. L'opera di annichilimento che dove essere portata a termine (e c'era bisogno di questo) si è conclusa. Ma il ritorno all'arte "classica" del XIX secolo o al "grande realismo" predicato da Lukacs è irrealizzabile. L'arte moderna ed il neoclassicismo sono il rovescio di una stessa medaglia, allo stesso modo dei Lumi e del Romanticismo. E' effettivamente necessario "salvare l'uomo", come voleva Lukacs, ma non attribuendogli per decreto uno status che egli, nella società feticista, non ha. La "perdita della coscienza" nella società capitalista è ben reale e non è solamente, come pensava Lukacs, una questione di "prospettiva".
Bisogna allora chiedersi se non possa esistere un arte sotto forma tradizionale, più attenta alle fratture e alla negatività. Questa è stata la caratteristica della letteratura barocca che, nella forma e nel contenuto, ha anticipato numerose tracce dell'arte moderna, ed ha affrontato la negatività senza, tuttavia, rendersene complice. A questo riguardo, l'opera di Walter Benjamin rimane sempre attuale. Con Debord, l'ultimo avanguardista, diventato alla fine uno stilista "classico", il cerchio si chiude.
Nel 1955, Debord chiedeva la distruzione di tutte le chiese, senza tener conto del loro valore artistico. 35 anni dopo, constatava che quel programma era stato realizzato dal progresso del dominio spettacolare. Se Debord ha cambiato idea, questo non ha niente a che vedere col processo abbastanza comune secondo il quale un rivoluzionario, o un vecchio avanguardista, si riconcilia con il proprio nemico, passando ad apprezzare quello che prima era disprezzato. Si tratta, piuttosto, di un'importante presa di coscienza. Nella seconda metà del XX secolo, la natura del dominio capitalista è profondamente cambiata, non solo nel senso banale per cui essa è sempre in continua trasformazione, ma nel senso per cui, essendosi definitivamente sbarazzata dei resti pre-capitalistici, ha cominciato davvero a "coincidere con il proprio concetto di sé". Tale vittoria è anche l'inizio della vera crisi. In queste condizioni, un sonetto o un busto di Donatello rappresentano forse la vera arte sovversiva - questo perché ci ricordano tutta la ricchezza qualitativa dell'esperienza umana precedente all'unificazione quantitativa operata dalla merce capitalistica, e tutte le promesse di emancipazione e di felicità che in quelle opere erano implicitamente contenute. La "giravolta" di Debord non rappresenta il fallimento del suo progetto iniziale di portare alla sua conclusione l'arte moderna. Non è stata l'arte moderna che ha fallito, ma ha fallito la società di mercato. Ma essa non è l'unica società possibile.

- Anselm Jappe  (da "L'avanguardia inaccettabile - Riflessioni su Guy Debord" -  Éditions Lignes, 2004) -

NOTE:

[1] - Citato in Th. W. Adorno, "Lettura di Balzac", in "Note sulla letteratura".

[2] - Allo stesso tempo, non è necessario sovrastimare quest'aspetto. L'arte moderna ha espresso (molto più del movimento operaio della medesima epoca) tutto quello che era refrattario alla logica della merce, come, per esempio, la resistenza al lavoro e alla subordinazione della vita alle esigenze della produzione. In certi momenti, l'arte era perfino l'unica possibilità di esprimere questa situazione di malessere.

[3] -  H. Friedrich, Structure de la poésie moderne, Paris, Le Livre de poche, 1999; Previamente Paris, DenoëlGonthier, 1976. (Orig.: Die Struktur der modernen Lyrik. Von Baudelaire bis zur Gegenwart, Hamburg, Rowohlt, 1956).

[4] - Il Rayonismo è stato un movimento artistico russo creato da pittore M. Larionov e da sua moglie N. Goncharova nel 1910-12. E' riconosciuto come una delle prime manifestazioni dell'arte moderna.

[5] - Autori come Mallarmé, Joyce o Beckett hanno mostrato assai poco interesse per la prassi sociale (anche tenendo conto della difesa degli anarchici fatta da Mallarmé). In autori come Rimbaud o Picasso, un'attitudine convenzionale "di sinistra" o rivoluzionaria non aveva una relazione intima con gli aspetti formali della loro arte. Diversamente, i dadaisti ed i surrealisti hanno cercato consciamente di creare una tale relazione astratta.

[6] - Internazionale Situazionista, 1/8 (1958).

[7] - Theodor W. Adorno - Teoria Estetica.

[8] - Un po' più tardi, Malevich ha scritto: "Quello che ho esposto non era un quadro vuoto, ma la sensazione dell'assenza del soggetto" (citato da Johanna W. Stahlmann, Teses sobre o fim do belo, in: Krisis 12 [1992], p. 175). Certamente, artisti come Mallarmé o Malevich hanno un lato mistico, che si inscrive in una lunga tradizione, per il quale il mondo è solo un travestimento ed un gioco di apparenze. La "distruzione del mondo" eseguita nello spirito non appartiene, di conseguenza, solo alla società di mercato. Tuttavia, la forma specifica, e non religiosa, che quest'idea assume in certe correnti dell'arte moderna (gli esempi sono numerosi) è tipica della società della merce.

fonte: Ensaios e textos libertarios


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