Emerge la necessità di scandagliare il come del lavoro che diventa il vero nucleo progettuale. Di film tratti da Il vecchio e il mare se ne possono contare almeno due, uno del ’58 con quell’arcigna maschera hollywoodiana che rispondeva al nome di Spencer Tracy, e uno del ’90 prodotto per la televisione con Anthony Quinn protagonista. In entrambe le pellicole si parla tramite le consuete enciclopedie, con il corto di Aleksandr Petrov datato 1999 il registro generale è invece un altro e decisamente più stuzzicante; la tecnica utilizzata da questo animatore russo ha un che di certosino perché si modella nella manualità, nell’azione delle dita che pitturando sul vetro si sostituiscono ai pennelli. Il risultato è una sbocciatura cromatica che investe per la sua carica portentosa, per la sua predilezione ai toni nostalgico-tropicali, per la consapevolezza di essere oggetto “artigianale” [1] ma non per questo meno bello di produzioni soffocate dall’alta tecnologia.
Il vecchio e il mare di Petrov è in sostanza un ritratto fortemente impressionista che punta tutto sulla forma, la fedeltà alle parole di Hemingway, nei confini del minutaggio, è massiccia e ciò porta ad una limitazione dello stupore, ci sono però segmenti degni di nota come i flashback o come la soggettiva dell’uccello che si tuffa nel mare ad arricchire un film che puòvantare innegabilmente un’estetica di prim’ordine. ______[1] In alcuni punti si notano chiaramente le “ditate” utilizzate per la colorazione, probabilmente il termine artigianale non è tra i più consoni ma escludendo ogni accezione negativa è quello che per il sottoscritto calza di più.