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Ottantaquattro giorni. Tanti sono quelli passati senza che il vecchio sia riuscito a pescare un pesce. Ormai ha perso la fortuna, dice; vive sfiduciato e solo nella capanna del suo piccolo villaggio. Se non fosse per il ragazzo, il giovane cui il vecchio ha insegnato tutto sulla pesca, non mangerebbe neanche. Il ragazzo gli vuole bene, va a trovarlo ogni volta che può, gli porta la colazione, qualcosa da mangiare e le esche; lo aiuta a trasportare le lenze e la fiocina alla sua piccola barca a vela ma non può andare a pescare con lui perché il padre lo ha costretto ad andare su un'altra barca. Eppure è con il vecchio che il ragazzo vorrebbe pescare e spera che possa prendere un grosso pesce così da poter tornare in barca con lui. Questo si augura il ragazzo, questo si augura il vecchio quando parte all'alba dell'ottantacinquesimo giorno di mare. E' quello giusto, lo sente. Sente che è un numero fortunato. Va, con la sua piccola barca a vela dando inizio al monologo di cui solo il mare è testimone. Pensa, commenta ogni sua mossa, vorrebbe il ragazzo. Sa che il mare è suo fratello, anche quando è crudele; anche i pesci sono suoi fratelli e lui li rispetta, ma non può fare a meno di pescarli perché questo è il ruolo che la vita gli ha assegnato. Il vecchio sa che quello è il giorno in cui ritroverà la fortuna. E' l'ottantacinquesimo giorno di mare e finalmente il vecchio sente tirare la lenza. Un magnifico marlin, più grande della sua stessa barca. Dovrà lottare, aspettare che si stanchi, lasciarsi tirare a largo da quel pesce magnifico, figlio di Dio, figlio del mare. Uomo e pesce si attendono, per tre giorni. Non si vede più la terra, il vecchio vorrebbe il ragazzo, non sa nemmeno se avrà la forza di uccidere un pesce così grande, non sa chi dei due si stancherà prima. Forse morirà di fame aspettando invano che il pesce perda il suo vigore. Le mani non sono più forti come una volta, ma forte è la volontà di farcela e gli occhi sono ancora ardenti. Tre giorni e tre notti in attesa della resa dei conti, mangiando pesci volanti crudi e delfini. Resisterà, sa che deve farlo. E in quella lunga attesa il vecchio pensa, domanda e risponde a se stesso. Parla soprattutto di sé, del suo rapporto con il mare, dei e con i pesci mentre con la schiena regge la lenza per non farla srotolare; parla d'amore, stancamente, un amore che si riflette nei raggi bassi del mattino che accecano i suoi occhi ancora buoni e dello stesso colore del mare.
Il vecchio e il mare è il racconto di una lotta, ma soprattutto il resoconto di un sentimento maturato durante tutta una vita passata in mare. Ernest Hemingway lo pubblicò per la prima volta sulla rivista Life nel 1952. In seguito, nel 1953, ricevette il Premio Pulitzer e nel 1954 il Premio Nobel per la Letteratura. Lui stesso era pescatore e conosceva bene il mare. Il racconto infatti contiene molti termini tecnici riguardanti la pesca; il linguaggio in compenso è semplice ma arriva dritto al cuore. E' commovente seguire il vecchio al largo mentre riflette sul rapporto tra sé e il mare, perseverando con le sue ultime forze per sconfiggere la sfortuna che l'ha colpito. Trasmette un grande coraggio e la forza che mette nella sua estenuante lotta è un esempio per chi è sul punto di mollare. Lotta fino alla fine, con tutte le sue energie, forse ben oltre. E si è lì, su quella barca tirata a largo, sperando come il ragazzo di vederlo finalmente tornare con il grosso e nobile pesce. Nobile è un termine molto usato in questo racconto: bisognerebbe dirlo, leggerlo, raccontarlo a quanti solcano i mari svuotando le loro riserve, uccidendo spesso banalmente e con crudeltà. Ci vuole rispetto, ci vuole la consapevolezza d'essere fratelli anche quando vestiamo i panni del predatore. Questo è il messaggio forte che traspare dalle pagine saline di questo libro; forse, un giorno, sapremo essere nobili, come il vecchio, come i pesci.
Recensione a cura di Alessandro Giova
Il vecchio e il mareHemingway ErnestMondadori, 2000€8,50
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