Torna nella sua Sicilia assolata e calda, passionale e impervia, la Hornby, per raccontare di una saga familiare il cui perno è un uomo, ambiguo, affascinante, depositario degli amori di diversi membri del clan, un ribelle che “sfida i tabù e ostenta la sua bisessualità”.
Ad alternarsi, in questo romanzo che coniuga magistralmente ambientazioni gotiche e opulenze barocche, sono due le voci narranti: quella di Bebe, appunto, e quella di Mara, nipote di Donna Anna Carpinteri, giunta, al capezzale della donna, assieme ai fratelli.
Tutto il romanzo si snoda lungo i binari del mistero e dell’ambiguità, oscurità, queste, che, però, neanche la macchia degli oleandri rossi nel giardino della villa sono in grado di occultare.
E, attraverso una narrazione serrata, scopriamo la passione di Bede per il compianto Tommaso, marito di Anna; l’amore ossessivo di Anna per Bede, l’amore violento e irrinunciabile di Giulia, sorella di Mara, per Pasquale; la fame d’amore di Viola, figlia di Mara, per il cugino Thomas; la scoperta dell’attrazione di Thomas per Bebe; il vuoto che attanaglia Mara.
E poi ci sono i gioielli, quelli dei quali si credeva vivesse solo la leggenda e che invece, stando a quanto afferma nei suoi deliri la matrona di casa, esiterebbero davvero e potrebbero essere la salvezza per le finanze della famiglia.
Sullo sfondo, ma neanche troppo, serpeggia il demone della corruzione che, esattamente come il veleno degli oleandri, impesta le fondamenta di Pedrera e dell’intero corollario di personaggi affini alla famiglia Carpinteri.
Il titolo Il veleno dell’oleandro, pianta velenosa per ogni essere animale (ne sanno qualcosa le truppe napoleoniche che usarono i suoi rami come spiedini per cuocere la carne durante le campagne militari in Italia…), diventa metafora di intrighi e sotterfugi familiari.