“Il veleno dell’oleandro” di Simonetta Agnello Hornby

Da Vivianap @vpicchiarelli

Il bellissimo e ambiguo Bede è il factotum della tenuta de Ceuta, a Pedrara, al fondo di una stretta valle nei dintorni di Siracusa. Da sempre testimone delle vicende della famiglia, Bede è profondamente legato ad Anna, severamente malata e ormai persa in una presaga demenza senile. Intorno al suo letto si ritrovano i figli Mara, Giulia e Luigi. L’arrivo nella tenuta di tutti i famigliari scatena rancori mal sopiti, accende ricordi, e soprattutto diventa l’occasione per discutere di affari: c’è un legame tra l’assottigliarsi delle rendite e la crescente intraprendenza di Bede nella gestione delle finanze e delle terre? Esiste davvero un leggendario “tesoro” in gioielli che potrebbe rinsaldare il patrimonio di famiglia? Tra le serre dei Ceuta e le grotte di Pantalica sembrano svolgersi misteriosi traffici e soltanto la villa è la muta depositaria di tutta la verità: chi è Bede, veramente? Perché il dottor Valla è così ansioso di mantenere il controllo su chi si avvicina al capezzale di Anna? Qual è stato il ruolo del notaio nell’organizzazione del patrimonio e delle attività della famiglia? La spirale dei misteri di Pedrara si snoda dentro il passato, dentro i sentimenti inquinati di tutti i protagonisti, dentro il formicolare dei notabili coinvolti, dentro il viavai di clandestini, dentro le oblique attività di cui è difficile decifrare conduzione e responsabilità.

Torna nella sua Sicilia assolata e calda, passionale e impervia, la Hornby, per raccontare di una saga familiare il cui perno è un uomo, ambiguo, affascinante, depositario degli amori di diversi membri del clan, un ribelle che “sfida i tabù e ostenta la sua bisessualità”.

Ad alternarsi, in questo romanzo che coniuga magistralmente ambientazioni gotiche e opulenze barocche, sono due le voci narranti: quella di Bebe, appunto, e quella di Mara, nipote di Donna Anna Carpinteri, giunta, al capezzale della donna, assieme ai fratelli.

Tutto il romanzo si snoda lungo i binari del mistero e dell’ambiguità, oscurità, queste, che, però, neanche la macchia degli oleandri rossi nel giardino della villa sono in grado di occultare.

E, attraverso una narrazione serrata, scopriamo la passione di Bede per il compianto Tommaso, marito di Anna; l’amore ossessivo di Anna per Bede, l’amore violento e irrinunciabile di Giulia, sorella di Mara, per Pasquale; la fame d’amore di Viola, figlia di Mara, per il cugino Thomas; la scoperta dell’attrazione di Thomas per Bebe; il vuoto che attanaglia Mara.

E poi ci sono i gioielli, quelli dei quali si credeva vivesse solo la leggenda e che invece, stando a quanto afferma nei suoi deliri la matrona di casa, esiterebbero davvero e potrebbero essere la salvezza per le finanze della famiglia.

Sullo sfondo, ma neanche troppo, serpeggia il demone della corruzione che, esattamente come il veleno degli oleandri, impesta le fondamenta di Pedrera e dell’intero corollario di personaggi affini alla famiglia Carpinteri.

Il titolo Il veleno dell’oleandro, pianta velenosa per ogni essere animale (ne sanno qualcosa le truppe napoleoniche che usarono i suoi rami come spiedini per cuocere la carne durante le campagne militari in Italia…), diventa metafora di intrighi e sotterfugi familiari.


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