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Il Veliero - Una favola Sì e No

Da Fiaba


Martedì 24 Luglio 2012 09:39 Scritto da Ettore Rosi

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Che domenica ragazzi! Andiamo! Mio padre col solito sacco da marinaio mi consegna un sacco tutto mio. Erano anni che aspettavo questo momento. Dai racconti sapevo che una barca a vela era la passione dei miei genitori. Dai loro racconti la conoscevo come fosse la mia. Sì, eccola, è proprio lei!

Nera, brilla sull’acqua immobile del porto come una stella nel blu del cielo. Sì, sono proprio a bordo. Il comandante mi da il benvenuto: mi sento piccolo piccolo. È proprio come l’avevo immaginato. Lo conosco da sempre. Poi un’annusata profonda di Blak conferma la mia presenza a bordo. No, non sto sognando, è tutto vero! Salpa l’ancora, ordina il comandante. Su la vela; attento, ordina mio padre, stai sempre dove si mette Blak. Lui la sa lunga su dove la barca è più sicura. Il veliero si inclina, le vele soffian via il vento con un sospiro da fiaba: le onde che scivolano lungo lo scafo fanno da eco. Una affettuosa slinguazzata di Blak mi assicura che è tutto vero.

Giù le vele, molla l’ancora, ordina il comandante. Siamo in una caletta al riparo dei venti. La barca immobile su un velo azzurro, sembra sospesa sopra un paesaggio incantato. Sotto alghe di ogni genere e colore sembrano esibirsi in una magica danza al ritmo di una musica che viene dalle rive dove frangono le onde. Il comandante è già in acqua: maschera, pinna e arpione. Va a cercare qualche buon pesce. Mio padre mi aiuta a mettere le pinne e la maschera. Mi accompagna in acqua. È la prima volta: per me no, l’avevo sognato mille volte. Sul fondo, tra le alghe e le rocce, vedo il nostro comandante che segue un pesce come fanno i cani quando fiutano la preda da cacciare. Finalmente parte la freccia: centrato. Festa a bordo, la cena è assicurata.

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Blak reclama i suoi bisognini. Tutti a bordo del canotto per soddisfare le sue voglie. Resto solo: con la canna da pesca di mio padre voglio anch’io prendere un pesce. Guardo con molta attenzione il galleggiante della lenza. Socchiudo gli occhi. Il sole brilla sull’acqua con mille riflessi d’argento. La lenza tira. L’argento del sole svanisce. Sopra di me l’enorme ventre di una balena bianca ha oscurato il sole. Vengo trascinato sott’acqua dalla canna da pesca che stringo sempre più forte. Forse un grosso pesce. No!! Due angeli con la coda d’oro hanno afferrato l’amo. Sono bellissimi.

Mi lascio andare. Scendo sempre più giù. Tra i coralli i due angeli mi gettano sulle spalle un manto di squame d’argento. Lascio la canna, afferro con le mani l’estremità del mantello ed anche io volo in un blu senza confini. Poi tutto si ferma. Non siamo angeli: qui, sotto il mare, il tuo angelo custode non può venire. Manda noi due che siamo le tue sirene. Sono belle da togliere il fiato: ma già! Qui sotto è proibito respirare. Che volevi fare con quell’uncinetto appeso alla canna? Improvvisamente mille e mille pesciolini corrono intorno a baciarmi, a carezzarmi, intorno sulla pelle. Scivolano via e tornano sempre più dolci. Sono nostri amici e non fanno male a nessuno. Il blu intorno diventa azzurro, poi sempre più bianco.

Sul mare tornano i riflessi d’argento. Ti avevo detto di non toccare la lenza! Su nel cielo una nuvola bianca fugge lontana dal sole. Addio balena! Arrivederci! Due code d’oro guizzano veloci tra le onde. Blak si strizza l’acqua facendomi una doccia.

Ma ormai ero già sveglio. Purtroppo!

Roma, Primavera 1998

Ettore Rosi



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