Raffaello - Scuola di Atene
Per un bel po’ non dissi niente. Nel corso diquei pochi giorni avevo sviluppato una specie di strategia di sopravvivenza. Difronte ad un mondo così diverso, che in un’altra situazione mi avrebbe fornitocontinui stimoli ed un inesauribile desiderio di conoscenza, mi ero inveceformato una specie di corazza. Permettevo alle novità di far breccia nella miamente solo un poco alla volta. Cercavo, per non impazzire, di elaborareadeguatamente ogni situazione nuova; rimasi quindi in silenzio, osservandol’evoluzione della scena.
L’uomo con il mantello era giunto sulla piazzaed era entrato senza indugi in una specie di parallelepipedo tutto di vetro,che stava in mezzo alle bancarelle, sul lato più vicino a noi. La folla si eraimmediatamente accalcata intorno ai quattro lati della costruzione. Uno schermogigante posto in alto aveva cominciato a mandare immagini dell’interno, in modoche tutti potessero vedere quello che vi accadeva. Comparve un numero in sovraimpressione,un ragazzo si fece largo fra i curiosi ed entrò. Da quello che si poteva vederedalla nostra postazione, nella stanza c’erano solo due seggiole, una di fronteall’altra, senza nulla nel mezzo. Su una era seduto quella specie di santone esull’altra fu fatto accomodare il ragazzo. I due avvicinarono le teste,cominciando una fitta conversazione.Diedi un’occhiata al mio amico. Se ne stavarilassato, senza prestare attenzione ad una scena che doveva esserglifamiliare. Ero piuttosto io l’oggetto della sua curiosità. Mi osservava cercandodi memorizzare ogni dettaglio. Studiava le mie reazioni. La cosa non mi davatroppo fastidio, in fondo era stato onesto e me l’aveva detto.Ci guardammo negli occhi per un lungo istante,poi ruppi il silenzio:“Ma tu credi nel destino?”In quel momento arrivò un suo amico, quellostesso che avevamo incontrato il primo giorno. Si accomodò vicino a noi senzaaspettare di essere invitato e proruppe immediatamente in una sonora risata.“Ecco, non appena c’è in giro un barbuto,diventiamo tutti filosofi!”. Poi, senza aspettare una qualche risposta si volseverso Talnòc.“Allora, non rispondi al nostro NomeDoppio? Cicredi tu, al destino?”Risero tutti e due di gusto.“Caro Giuliano, vieni qui, proprio qui, achiedere se crediamo nel destino? Che diamine! Non so come la pensiate voilaggiù in Italia, ma da noi il destino è … pane quotidiano. Non passa giornoche ciascuno di noi non faccia i conti con il suo destino. Si può dire che losucchiamo dal biberon. Di cosa credi che si parli agli altri tavoli di questobar? O in quel gruppo di ragazzi laggiù?”Si volse verso il nuovo venuto, come a cercareconferme, che vennero sotto forma di abbondanti cenni del capo.“Parliamo anche di donne, certo! E di soldi,ovviamente. Ma è il destino l’argomento su cui è addirittura imperniata lanostra vita”“Ma … quindi voi di questo paese, come sichiama … ecco sì, Valean, voi dunque credete che esista un percorso preordinatoper ciascuno di noi e che tutto quello che ci accadrà sia già scritto, è così?”I due si guardarono sbigottiti.“Cosa vuoi dire?”“No, ecco, parlavo del destino, no? Se ci sicrede vuol dire che si pensa che ci sia qualcuno, un’entità superiore, un Dio –chiamatelo come volete – che ha già deciso per noi quale sarà il nostro futuro,decidendone ogni dettaglio, ogni singola situazione, prendendo di fatto ledecisioni al posto nostro. E se il nostro destino è già scritto a noi non restache assecondarlo passivamente”.I due risposero in coro.“Ma stai parlando di predestinazione? Via, nonci crederai così ingenui!”“Non è questo il destino di cui parlate?”“No davvero, caro amico” ribatté prontoTalnòc.“Ma allora, se non è questo, non capisco comesi possa parlare di destino. Se noi siamo realmente liberi nelle nostre decisioni,se abbiamo quello che la Chiesa chiama il Libero Arbitrio, non credo che sipossa parlare di destino. E poi, come la mettiamo con tutti gli accidentioccasionali che indirizzano la nostra vita senza che noi possiamo farci nulla?Gli incontri casuali, i colpi di fortuna o le disgrazie che ci possono accaderead ogni anglo di strada? E’ questo che chiamate destino?”Un omino seduto ad un tavolo vicino si voltòverso di noi.“Mi pare che il vostro amico stia facendo unbel po’ di confusione!”I miei due commensali annuirono e, con ungesto, lo invitarono ad unirsi a noi, cosa che fece prontamente. Era basso egrassoccio, con una buffa testa pelata. Si presentò come il professor Maìc.Gli altri lo incoraggiarono.“Professore, lo spieghi lei al nostro ospitestraniero, cos’è il destino”Lui mi studiò per un lungo attimo con i suoiocchietti vivacissimi, prima di parlare.“Vede caro amico, lei ha citato tre aspetti,tre categorie direi, che le persone, un tempo, accumunavano sotto la stessadefinizione di destino. Ma questo accadeva molto tempo fa qui da noi. Ogginessuno lo farebbe, anche i bambini delle scuole sono in grado di capire ladifferenza che corre tra di loro. Debbo supporre che lei venga veramente damolto lontano!”“Molto di più di quello che lei possa pensare,professore” disse Talnòc con il suo modo sempre ironico.“Bene, allora cercherò di spiegarmi”Si sistemò più comodo sulla sedia, prima dicominciare.“Lei è per caso un credente, uno di quelli chefrequentano le chiese?”“No” risposi “Anche se non ho potuto fare ameno di notare che non ci sono chiese in questo posto”“Qui a Palnoc, no. Ma, per esempio, giù allaSplendente ce ne sono un paio, in periferia. Non siamo contrari alla religione,ma la maggior parte di noi rifiuta l’idea stessa di predestinazione. La ragioneci dice che non ha motivo di esistere un essere che si diletta a definire ildestino degli altri, guidandoli in ogni loro più piccola mossa. E mi pare dicapire dalle sue parole, che anche lei sia della stessa opinione. Per cuiaccantonerei senz’altro questo aspetto”.Gli altri due si mostrarono d’accordo,portando le loro argomentazioni. Li stetti a sentire con un certo piacere. Quellaconversazione mi faceva ripensare alla mia condizione, dandomi finalmente ilcoraggio di guardarla in faccia. Ero capitato, per chissà quale casualità, inun mondo diverso dal mio, simile, ma forse per questo ancor più estraneo. Avreipotuto impazzire se non fosse stato per Tanòc e per la calda accoglienza chetutti mi avevano riservato. Anche il professore e Morfial, l’altro amico, sierano subito interessati a me, promettendomi il loro aiuto. Io che non avevo laminima idea di come poter ritornare a casa, mi scaldavo il cuore con la lorodisponibilità. Nonostante avessi perduto il bene più prezioso, il ricordo deisentimenti che mi univano al mio passato, sentivo che con il loro aiuto avreipotuto farcela!Affrontai la discussione animato da un vivointeresse. Avevo buttato alle ortiche le mie remore ed ora volevo capire,comprendere fino in fondo la loro strana società, dove non c’erano supermercatima solo piccole botteghe artigianali (come un tempo da noi) e dove tuttosembrava girare intorno a quelle figure barbute, capaci di intromettersi neidestini altrui.“Ma com’è possibile” dissi d’un tratto,interrompendo i loro discorsi “come è possibile cambiare il destino?”