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Il vero fair play finanziario, non prevede norme da rispettare
Creato il 11 luglio 2011 da EmozionecalcioDI DANTE DE BENEDETTI. Argomento d’attualità, il cosiddetto “fair play finanziario”.
Già il nomignolo attribuito al gruppo di norme è indice della confusione che stava nella testa di chi ha concepito questa disciplina.
Il “Fair Play”, l’unico, quello vero, è (sarebbe meglio dire “era”) un complesso di regole di comportamento non scritte, adeguato a quando lo sport era puro diletto privo di interessi economici (e, quindi, era davvero solo un gioco), che chi ha intenzione di giocare (“play”) in modo onesto (“fair”) deve seguire.
Non vi è sanzione, se non ci si adegua, se non quella di non essere considerato un giocatore corretto e, quindi (parliamo dei tempi andati) di non essere considerato avversario accettabile in un contesto di persone che, invece, corrette lo sono.
Fanno parte del fair play principi come quello per cui se un giocatore è a terra, l’altra squadra non se ne approfitta e butta la palla fuori, quello per cui, in tal caso, la palla va restituita alla squadra che l’aveva, etc…
Non sono norme scritte, sono principi di lealtà e correttezza.
Ora, è una contraddizione in termini pensare di dare a delle norme scritte (quelle attuali) il soprannome di “fair play”, proprio perché quest’ultimo, per sua natura, non è mai stato né mai sarà composto da regole scritte e perché, a differenza di quelle di cui si parla (la cui violazione comporterebbe l’impossibilità di iscriversi dalle coppe europee), il mancato rispetto del fair play è privo di sanzioni.
In altri termini, se si volesse davvero disciplinare, con un impianto che non sia, poi, oggetto di continui quanto facili attacchi da parte di chi (come in questi giorni il Manchester City) intende far pesare, anche comprensibilmente, la propria ricchezza per finanziare a fondo perduto la propria società sportiva, l’UEFA dovrebbe avere il coraggio che ha avuto, da tempo, lo sport professionistico americano, ovvero organizzare un rigidissimo sistema di norme e controlli che costituiscano dei limiti invalicabili alle possibili spese della società.
Non possiamo sapere se ciò sia o meno “giusto”, dato che in Europa, per esempio, del cosiddetto “salary cap” si è fatto serenamente a meno sino ad oggi, ma è l’unica strada seria se si vuole perseguire l’obiettivo di cui sopra, essendo impensabile che interessi di miliardi di euro possano essere lasciati al buon senso di chi deve interpretare delle norme confuse e basate essenzialmente su principi generali (e, di conseguenza, generici).
In conclusione, l’UEFA, se si vuole rimettere al fair play, faccia una bella riunione in cui chiede alle società se, per favore, possono evitare di esagerare con le spese folli e cancelli le attuali norme, del tutto inadeguate.
Se, invece, vuole intervenire in modo serio, abbia il coraggio di rivolgersi a persone che sanno cosa vuol dire scrivere delle norme (negli uffici legislativi del Parlamento Europeo ce ne sono, per esempio, parecchie), che conoscono la differenza, giusto per fare qualche esempio, tra un finanziamento soci ed uno di terzi, tra investimenti e costi, tra attività caratteristica e non: potrebbe essere un passo con conseguenze imprevedibili ma, quanto meno, sarà fatto bene.
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