"Tra la Cattedrale e il Vescovo sussiste un rapporto simpatetico, intrinseco, unitivo, quasi “mistico” " + Carlo Mazza
Vescovo di Fidenza
Con questa meditazione S.E. il Vescovo di Fidenza Carlo Mazza esplora, interrogandosi, il rapporto intimo tra vescovo e cattedrale arrivando a preziose considerazioni che investono il suo "percorso di vita" insieme alla Cattedrale di Fidenza, la sua, la nostra Cattedrale.
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7 luglio2012 Monastero Zen Fundenji Forum:
Un percorso di vita ispirato dalla Cattedrale di Fidenza Per affrontare il tema in modo esaustivo è necessario premettere alcune annotazioni di carattere generale circa quella che è denominata la “fenomenologia del sacro” a partire da elementi oggettivi e significanti e da “esperienze religiose” trasmesse da antiche narrazioni ispirate da un intenso “senso religioso”.
Il tempio: segno, fulcro e sorgente Ciò che sta all’origine di un “tempio” (Santuario-Cattedrale) non è una decisione meramente umana scaturita da calcoli o da circostanze. L’inizio è aperto da un evento. L’inizio è aperto da un evento. In realtà si tratta concretamente della memoria indicativa-prescrittiva di un evento sacrale (il visibile dell’invisibile) che si impone in quanto viene dall’alto (il trascendente nell’immanente). Dunque non appartiene al genere dell’“opinione”, ma al genere dei “fatti numinosi” ritenuti credibili. Nella fenomenologia del sacro secondo una lettura analitico-sintetica viene ad essere descritta l’intersezione che il “divino”, nel suo manifestarsi, traccia secondo una linea verticale con la linea orizzontale rappresentata dall’uomo “ricettore”. In essa accade che l’astante (l’interlocutore) è afferrato da una forza incoercibile dalla quale non è in grado di sottrarsi, senza naturalmente non dover farne i conti, e da una comunicazione orale che esplicita il senso dell’evento rivelatore. Un riferimento nella tradizione patriarcale dell’Antico Testamento si trova nel libro della Genesi: “Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: «Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto». Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: «Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo». La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Giacobbe fece questo voto: «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai, io ti offrirò la decima»” (Gen 28, 10-22). Il “luogo” testimonia l’evento. Già luogo “sacro”, viene per così dire ancor più segnato come una realtà “sequestrata”, costituendosi come area di differenza tra sacro e profano. Di qui diventa origine (fulcro/sorgente) di alleanza (promessa) destinata all’uomo interloquito. Più i generale si tratta di consegnare un’inedita identità significante e discriminante al luogo rispetto a ciò che in esso si manifesta. L’evento è così accolto nelle dimensioni esistenziali di “spazio” e di “tempo” attraverso le quali diventa sperimentabile l’accadere del divino nell’umano. L’evento sperimentato diventa “fulcro” di riferimento dotato di potenza che crea un cambiamento di vita e si pone come propulsore di energia, tanto da trasformarsi in “sorgente” irradiante luce, vita, fecondità, benessere, guarigione. Vi è un “novum” che promana “senso” per la vita umana (cfr. L. A. Schökel, Dov’è tuo fratello, Brescia, 1987, pp. 178-185). Il tempio è il cielo in terra Sul luogo dell’evento “sacro”, per essere precisamente identificato, viene edificato successivamente un tempio, circoscritto dall’“apparizione” della karis benevolenza gratuita (carisma) di Dio. Perciò esprime il punto di incontro tra il “cielo” e la “terra, riproducendo nella forma geometrica l’inizio e la fine, la perfezione e l’imperfezione, il tempo e lo spazio, l’umano e il divino, la santità e l’iniquità. Di fatto il tempio intende riprodurre in terra la figura del cielo.
Tempio: memoria di “rivelazione” di Dio Il tempio può assumere la figura di testimone di un evento “comunicativo” tra la divinità e l’uomo. Esso continua a rigenerare l’effetto di una presenza come potenza e gloria di ordine sovrannaturale. Ecco perché all’inizio avviene una “rivelazione” di Dio. L’Altro – il “totalmente Altro” – comunica la sua volontà all’uditore. Nella tradizione profetico-biblica, celebre è il racconto della “vocazione” di Isaia: “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. Sopra di lui stavano dei serafini; ognuno aveva sei ali: con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. Proclamavano l’uno all’altro, dicendo: «Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria». Vibravano gli stipiti delle porte al risuonare di quella voce, mentre il tempio si riempiva di fumo. E dissi: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito; eppure i miei occhi hanno visto il re, il Signore degli eserciti». Allora uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. Egli mi toccò la bocca e disse: «Ecco, questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua colpa e il tuo peccato è espiato». Poi io udii la voce del Signore che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi: «Eccomi, manda me!»” (Is 6, 1-8). In un contesto cultuale di alto livello simbolico avviene la “visione” del profeta. Dalla voce del serafino (il “bruciante”!) viene la proclamazione di una volontà positiva che testifica un desiderio di “alleanza”, come una “promessa” al futuro, che manifesta un bene capace di sovvertire la “condizione” del presente, che chiede una contropartita, una risposta di carattere “vocazionale”. Ciò suscita “timore e tremore”.
Si rivela il “mistero” che tende a offrire una “logica” all’esistenza umana (il senso ultimo) perché l’uomo ha bisogno di “sapere” ciò che sta oltre il limite (confine) della morte e se esiste un “salvatore” rispetto alla radicalità inesorabile del proprio finire. Di qui nasce la disponibilità alla “missione”.
La Cattedrale come “universo” Dalle brevi annotazioni possiamo con più facilità e intelligenza passare alla considerazione dell’identità, del valore, della funzione di una Cattedrale, vista in analogia con il “tempio”, luogo carismatico delle religioni. In realtà grande rilevanza simbolica e pratica assume la Cattedrale nel cammino dell’uomo alla ricerca del Dio vivente. Nel nostro caso, la Cattedrale è un luogo generato dalla fede cristiana interpretata dal genio umano. Non si esaurisce nell’umano, perché attinge al divino. Storicamente la Cattedrale è la chiesa propria e principale del Vescovo, tanto da essere “una” con lui: non vi è Cattedrale senza Vescovo e non sussiste Vescovo senza la Cattedrale. Infatti in essa egli esprime la sua funzione di successore degli apostoli. Inviato dal Sommo Pontefice, Vescovo di Roma, esercita il suo servizio in profonda comunione con lui, quale successore di Pietro. La Cattedrale è segno e simbolo della fede e della storia della Chiesa locale. Sede propria del Vescovo, egli esercita qui il ministero di maestro nella fede, presiede la santa Liturgia, proclama e commenta la Parola di Dio, pone in atto il compito di guida spirituale della diocesi, promuove l’unità e la carità del popolo di Dio in modo esemplare e ne rappresenta la continuità nella fedeltà. Per questo la Cattedrale rappresenta il fulcro generatore della Chiesa, diventa la fonte sorgiva della vita cristiana. Ancora per questo accanto e intrinsecamente collegata ad essa, sorge il Battistero, da dove prende inizio la fede, la quale è poi sostenuta dalla illustrazione della Parola (dalla “cattedra”) e del sacrificio eucaristico (dall’“altare”). Non si deve mai dimenticare, accanto alla bellezza e all’unicità della Cattedrale, la sua origine. Sorta sul corpo venerato del martire Donnino (III sec.) come chiesa “martiriale”, custodisce la sorgente e l’autenticità della fede proprio in riferimento alla “testimonianza” cristologica del martire.
Il Vescovo “apostolo” di Gesù Tra la Cattedrale e il Vescovo sussiste un rapporto simpatetico, intrinseco, unitivo, quasi “mistico” in quanto viene a significare simultaneamente l’incontro con il sublime di Dio, l’unità della fede e la comunione del popolo di Dio. Cattedrale e Vescovo costituiscono un “destino” di vita. La figura del Vescovo è una presenza colma di significati, apportatrice di gioia, suscitatrice di attese. Egli, per divina disposizione, rappresenta Gesù stesso e come apostolo invoca il nome di Gesù Risorto e trasmette il dono del Vangelo. La presenza del Vescovo manifesta l’importanza della “presenzialità sacramentale” di Gesù, anche sotto il profilo ecclesiale in quanto è il segno più evidente di unità e di comunione nella Chiesa. In realtà la figura del Vescovo richiama immediatamente la Chiesa particolare e rimanda alla figura degli Apostoli di cui è il successore. Nella persona del Vescovo viene garantita l’autentica trasmissione della fede che, mediante il mandato ricevuto dal Signore e reso attuale dall’autorità apostolica del Sommo Pontefice, secondo l’immagine di una lunga catena senza interruzione di anelli, congiungente la persona di Gesù alla comunità dei suoi discepoli nel tempo presente. Il Vescovo come apostolo autentico e garante della fede, in speciale comunione con il Papa in forza di quel misterioso legame che si stabilisce tra chi sceglie, chi invia e chi è inviato, sta unicamente in riferimento al mandato divino di guidare, insegnare, santificare il popolo di Dio che vive nella Chiesa particolare, immersa nella storia del mondo. Il Vescovo è pastore, maestro, testimone, ma soprattutto padre nella fede. Per questo il Vescovo svolge l’incarico di buon pastore nel modo di un “sovrintendente” (cfr. l’Iscrizione di Abercio: “Bonus Pastor cui oculi sunt grandes ubique conspicientes”) rispetto al bene spirituale della Chiesa. E’ colui che cammina con la Chiesa locale, le guarda sopra e la dirige secondo il cuore del Buon Pastore (Gv 10, 11 ss.). Rende visibile nella Chiesa la presenza vivente di Gesù, unico e supremo pastore delle anime (cfr. 1 Pt 5, 47; 2, 25), e per la loro salvezza si prodiga spendendo il meglio di sé. Un altro dovere del Vescovo consiste nel curare i carismi individuali e suscitare i ministeri nella Chiesa per il bene sommo della comunione. Conseguentemente ha il compito di risvegliare e coltivare le vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, di prendersi a cuore i sacerdoti e di seguire le comunità cristiane nel loro cammino di fedeltà e di perseveranza nella fede, di mettersi a servizio (“diaconia”) dei poveri, dei sofferenti, dei perseguitati.
Secondo la tradizione cattolica l’insegnamento del Vescovo è detto “magistero” – proprio del “maestro della fede” – in quanto mira ad insegnare la “doctrina fidei”, tesa a fondare la “cogitatio fidei” al fine di una coscienza retta e formata dei fedeli, perché crescano nella conoscenza del Regno verso la piena maturità in Cristo, secondo la parola salvifica delle Scritture (rivelazione) e la Tradizione della Chiesa. In ordine a tale compito così delicato e gravoso, si comprende come il Vescovo sia strettamente congiunto con i fedeli. Essi, avvertendone la grande responsabilità, supplicano il Signore perché il Vescovo sia vera trasparenza del Buon Pastore e sia sempre illuminato e accompagnato dallo Spirito Santo, perché “vedano in lui non la sua persona, ma il Padre di Gesù Cristo vescovo di tutti” (cfr. Sant’Ignazio di Antiochia, Lettera ai cristiani di Magnesia, 5, 1). Anche il Vescovo Ambrogio, riguardo alla figura del pastore, invita prudentemente e sapientemente i suoi uditori neofiti a “non badare all’esterno della persona, ma al carisma del ministero sacro” e aggiunge: “E’ un angelo colui che annunzia la vita eterna. Devi giudicarlo non dall’apparenza ma dalla funzione. Rifletti a ciò che ti ha dato, pondera l’importanza del suo compito, riconosci che cosa egli fa” (Sant’Ambrogio, Trattato sui misteri, n. 7). Conclusione Si comprende ora come viene ad essere chiaro “il percorso di vita” personale e istituzionale del Vescovo, in riferimento alla realtà complessa e fortemente segnata da una “simbolica” molto articolata, rappresentata dalla Cattedrale. Così la vita e la missione del Vescovo si intrecciano e si avvalorano nel segno della Cattedrale, vero luogo rivelatore del disegno di salvezza che Dio ha stabilito per il suo popolo che vive in Fidenza. + Carlo Mazza Vescovo di Fidenza