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Il viaggio della speranza

Creato il 11 agosto 2013 da Lundici @lundici_it

Sono gli anni ’50; Giuseppe, calabrese di mezza età, si prepara a partire: ha appena finito la sua valigia – un’enorme valigia di cartone – e salutato la sua famiglia. Ieri sera c’è stata una festa dove sono venuti tutti, anche gli amici di vecchia data. Mentre esce dalla sua camera – una camera da letto in vecchio stile, mobili e quadri di epoca – si guarda attorno un’ultima volta. Inspira a fondo. Benché non abbia più di 45 anni, Giuseppe sembra già vecchio: ha il viso incavato, la fronte alta; due occhi spenti, che sembrano aver perso tutta la loro luce. Si ficca il valigione sotto braccio e mormora un arrivederci. Sono gli anni ’60 e Giuseppe, emigrante italiano, è in partenza per gli Stati Uniti d’America, dove spera di trovare fortuna – e, nel migliore dei casi, un futuro.berlin wall

Anni ’70, Napoli: Antonio si passa il pettine bagnato tra i capelli ancora una volta; qualche dente s’è spezzato e lo sente graffiare contro il cuoio capelluto. Poco importa però: Antonio, stando sempre dritto, la testa reclinata su una spalla, sorride. Un bel sorriso ampio, che qualcuno – il più ingenuo – potrebbe definire felice. Anche lui, come Giuseppe, ha preparato una valigia: stavolta è grande, di cuoio, e ci stanno dentro i vestiti buoni, quelli che sua madre lo costringeva ad indossare alla domenica, durante la messa. Antonio è un laureato di 26 anni, uno dei primi della sua generazione; parte perché nella sua città non c’è più speranza. Ha vinto il concorso pubblico per insegnanti e ora va al nord, a Milano: la sua nuova casa. Non rimpiange quello che sta per lasciarsi alle spalle; non rimpiange la casa, la famiglia o gli amici. Ha il cuore gonfio di belle aspettative.

Anni ’90, l’inverno è appena finito. Sandro è in garage che carica la sua Alfa Romeo: la sta riempiendo di pacchi e di scatole. Questa volta è da solo: sua moglie e i suoi due bambini non sono voluti venire a trovare i nonni in Italia. Hanno preferito rimanere in Germania. Gli hanno dato solo un bigliettino: “questo – hanno detto – dallo a nonna Lella”. È un disegno: due sagome disegnate con la cera, stecchette e palline, un sorriso, due paia di occhi. Sandro è un veronese che ha lasciato la sua casa da più di quindici anni. Vive a Berlino adesso; si è aperto un ristorante e ha avuto successo. La sua bolognese è famosa in tutto il quartiere e anche oltre: da quando è caduto il Muro, le voci si sono sparse; i debiti saranno pure aumentati ma sono aumentati anche i clienti. E Sandro lo sa. Però non riesce a essere felice: un italiano in Germania rimarrà sempre un italiano. E la nostalgia, certe volte, minaccia di ucciderti.

Estate del 2010, Mattia e la sua famiglia si stanno preparando: vanno in vacanza. Partono. Andranno a trovare i nonni in Calabria, poi gli zii a Napoli e alla fine andranno in Germania. Hanno dei biglietti prenotati anche per l’America, a settembre: lì vive lo zio di papà, “lo zio d’America”. Mattia di speranza o di nostalgia sa veramente poco. Ha ancora 9 anni, e per adesso tutto il suo mondo inizia dove iniziano le mura domestiche, dove c’è la sua scuola, dove si incontra con i suoi amici e dove i suoi genitori lo portano. Per lui, esistono le vacanze, non i viaggi della speranza. Ogni tanto vede la televisione e sente di queste persone, “gli immigrati clandestini”, e non capisce: chiede a suo padre, ma non riceve mai una risposta. Il suo cuore non è gonfio né di gioia, né di paura: il suo unico pensiero è il regalo che i nonni gli faranno trovare al suo arrivo in Calabria.

emigranti barcone lampedusa

2013, Lampedusa: l’acqua lambisce l’isola, le onde sono alte, il cielo annuvolato. C’è aria di tempesta dell’aria. All’orizzonte si vede una sagoma: un barcone enorme, legno e plastica, carico di persone, uomini, donne e bambini. Anche il loro è un viaggio della speranza: sperano di trovare finalmente la pace. Non sanno ancora cosa li aspetta. I volontari si preparano: mentre fissano il mare e la barca che si avvicina, indossano i loro guanti di lattice e le mascherine. Inspirano a fondo, un’ultima volta – come Giuseppe prima di loro. Il viaggio non è finito ma appena cominciato. La destinazione importa poco: è quello che c’è in mezzo, tra il punto d’arrivo e il punto di partenza, che conta. Tutto il cambiamento, la speranza, la disillusione; il mondo. C’è chi viaggia per divertirsi e chi per sopravvivere. C’è il viaggio delle vacanze e il viaggio della speranza.

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