Magazine

Il viaggio nell'Ade del Duca Bianco

Creato il 08 novembre 2015 da Redatagli
Il viaggio nell'Ade del Duca Bianco

David Bowie è un trasformista. Nelle sue varie fasi artistiche ha interpretato, calandosi in profondità nei personaggi immaginati, varie figure di sua invenzione.
È stato il suo modo di far musica, reinventandosi di volta in volta, ripartendo da zero con la sperimentazione; l’uomo poliedrico, recitazione e canzoni, note e teatro, il serpente che cambia pelle, lo spirito che s’incarna più volte alla ricerca di molteplici esistenze da vivere.

Il Duca Bianco entra nel corpo di David Bowie nella metà degli anni ’70 del XX secolo. 
È sottile. 
È aristocratrico. 
È freddo. 
È elegantissimo. 
È pallido. 
È vampiro. 
È immorale. 
È decadente. 
È romantico. 
È superuomo. 
È pazzo.

Il Duca Bianco fa uso di cocaina. 
Smodato. 
Senza freni. 
Si farcisce il naso con tempeste di sabbia andina. S’intasa le narici e si soffoca il cervello.

Cocaine mon amour.

 Il Duca Bianco si trasferisce a Los Angeles.
La dieta del Duca: sigarette, latte, peperoni con rinforzo di valanghe di cocaina. 
E basta. 
Dimagrisce fine a diventare un fuscello scheletrico. 
In frigorifero tiene le sue preziose conserve di urina.

“Adolf Hitler era stato una delle prime vere rockstar.”

Il palazzo del Duca: un appartamento cupo come una caverna, illuminato da candele nere, decorato con svastiche, vari souvenir del Terzo Reich, statue e immagini di faraoni, un assurdo pot-pourri demoniaco nazi-egizio. 
La libreria è ben assortita di trattati di magia nera, libri sul nazionalsocialismo, l’inquietante occultista Aleister Crowley, Friedrich Nietzsche e forse pagine che non vanno aperte.

“Vivevo in un costante terrore psichico.”

La mente del Duca: si devia fino a destare la paranoia. 
Subisce scosse allucinatorie. È certo che un malvagio clan di streghe voglia rubargli lo sperma per fare riti satanici. 
Sostiene che le copertine degli album dei Rolling Stones siano in realtà dei messaggi occulti per lui e che solo lui può leggere.  

Il viaggio nell'Ade del Duca Bianco

La valigia del Duca: Bowie torna a viaggiare e si mostra come un aristocratico affusolato, dark, cereo, dandy, nero. Al confine russo-polacco le guardie lo fermano perché nel baule escono fuori cimeli nazisti. Poco opportuno.
Torna in Inghilterra a bordo di un hovercraft e su una Mercedes scoperta un suo saluto viene interpretato come un Heil Hitler! a braccio teso. Ancora meno opportuno.
Acquista poi uno chalet in Svizzera sul lago di Ginevra dove scia su lunghe piste nasali: slalom gigante, discesa libera, chilometro lanciato. Fiuta droga senza prendere fiato. 
Grazie a Dio e a lui stesso negli anni successivi si ripiglia un po’, sennò la carriera e la sua vita non avrebbero visto il 1977.

“Ero fuori di testa, totalmente impazzito. Ero interessato principalmente alla mitologia; ...l'intera faccenda su Hitler e il totalitarismo; ...Avevo scoperto Re Artù.”

L’esperienza tossica, uncinata e stregonesca di Bowie nei panni maledetti del Duca Bianco è la rappresentazione di un moderno Dorian Gray luciferino e di fine millennio.

Federico Mosso

Segui Tagli su Facebook e Twitter


Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog