La lettura che Pöder offre del fenomeno Pegida – fenomeno, come detto, per ora presente quasi esclusivamente in Germania e, seppur in forma minore, in Austria – appare priva di ombre. Il movimento raggrupperebbe cittadini non inclini a condividere idee estreme o radicali, nel logo si vede per esempio la svastica gettata dentro un cestino, non sarebbe neppure espressione di un pensiero di “destra” (o almeno non in modo esclusivo) e dunque risulterebbe costituito in prevalenza dai cosiddetti delusi dalla politica, specialmente riguardo alle politiche di accoglienza e di gestione dei conflitti su base religiosa che nell’arcipelago dei fedeli islamici hanno il loro più virulento terreno di coltura. Pöder guarda infine con simpatia l’ipotesi che anche in Sudtirolo, dove in effetti si è già formato un corrispondente gruppo facebook intonato alla difesa patriottica del “suolo tedesco”, gli attivisti di Pegida trovino slancio per riprodursi.
Anche dando credito alla versione edulcorata di Pöder, non mi sentirei di condividere quest’ultimo auspicio. Al pari di altri movimenti consimili, Pegida muove infatti dall’assunto che per contrastare la minaccia dell’islamismo radicale (minaccia assolutamente concreta e quindi non da sottovalutare) sia necessario richiamarsi a principi di purezza in linea di principio ostili a una declinazione plurale della nostra identità culturale. Abbiamo faticato non poco per convincerci che una strada del genere può solo portarci in un vicolo cieco. Strano che Pöder non l’abbia ancora capito.
Corriere dell’Alto Adige, 16 gennaio 2015