Magazine Cultura
di Pierluigi Montalbano
Secondo alcune fonti letterarie, ad esempio la Bibbia, la provenienza della coltura della vite e della produzione del vino è legata al Vicino Oriente. Pare che la coltura della vite abbia raggiunto l’Occidente proprio dalla Palestina. Questa pianta è strettamente connessa con la navigazione perché l’uva passita, con i fichi secchi e le olive in salamoia, costituiva la base della dieta dell’antica marineria, visto che questi alimenti si conservano a lungo. In Sardegna, negli ultimi anni, gli archeologi hanno proposto un’origine autoctona della vite, pur essendo noto che i navigatori filistei, ciprioti, e precedentemente minoici, toccarono l’Occidente Mediterraneo fin dall’età del Bronzo. Scambiavano lingotti di rame e portavano nuove tecnologie, tra le quali l’uso del ferro, e forse impiantarono i primi vigneti. Il vino si diffuse nel mondo nuragico attraverso una ceramica particolare, denominata “fiasca del pellegrino”. Questa usanza è testimoniata anche nella bronzistica, grazie ad un noto personaggio, chiamato “Barbetta”, rinvenuto nel tempio a pozzo di Matzanni. Questa piccola scultura realizzata col metodo fusorio della cera persa, porta una fiasca sotto il braccio sinistro. Un altro bronzetto, Aristeo, conservato al Museo Sanna di Sassari, prende il nome dalla divinità che, secondo la tradizione, portò l’agricoltura in Sardegna. Raffigura un offerente con tre recipienti appesi alle spalle. Per convenzione, queste fiasche sono chiamate brocche askoidi. A Monte Sirai abbiamo un personaggio seduto che versa il vino da una brocca askoide in una ciotola. Questo bronzetto è stato scoperto dagli archeologi in connessione con un altro personaggio particolare: un suonatore di lira, suggerendo che le due piccole statue facessero parte di un gruppo che celebrava un banchetto legato al mondo del sacro. L’area originaria dell’addomesticamento della vite, è quasi certamente la “Mezzaluna Fertile”, un’area posta nel Vicino Oriente lungo la Valle del Nilo, la Palestina, la costa libanese, la Siria, la Turchia e la Mesopotamia. Proprio in quest’ultima zona né stata ritrovata una tavoletta in argilla che riporta un inno datato a 6000 anni fa, scritto in occasione dell’inaugurazione del tempio di Enki, dio della sapienza della città di Eridu, in Sumeria, nella costa affacciata sul Golfo Persico. Enki preparava una bevanda destinata al banchetto degli dei, perché pare che l’ebbrezza avvicinasse verso la sfera del sacro. Questa caratteristica funzione liturgica si è conservata nel tempo, e ancora oggi il vino fa parte dei riti religiosi legati alla cristianità. Rispetto alle altre attività agricole, la coltivazione della vite, era importante perché la professione dei vignaioli erano ricordati, nei documenti ufficiali, ben distinti dagli agricoltori. Inoltre i costi di produzione erano notevoli e si aggiungevano a quelli di trasporto. Le brocche askoidi sono stati portati alla luce in vari insediamenti sardi. Frequentemente sono associati ad altri tipi di recipienti nuragici e, negli ultimi scavi lungo tutto il Mediterraneo, soprattutto negli approdi lungo le coste, sono venuti alla luce insediamenti ricchi di queste ceramiche (Creta, Sicilia, Lipari, Agrigento, Mozia, Cartagine, Utica, Malaga, Cadice, Huelva, El Carambolo). Intorno al IX a.C. questo recipiente fa la sua comparsa in Etruria, tanto da diventare il simbolo stesso del vino. Ma la coltura della vite presso gli etruschi è documentata solo a partire dal secolo successivo. Nei 4 secoli che vanno dal XII all’VIII a.C., la diffusione del vino attraverso i canali nuragici, mostra prepotentemente il ruolo che i sardi ebbero nelle relazioni commerciali del Mediterraneo. Il numero di ceramiche nuragiche portate alla luce negli ultimi anni lungo le coste mediterranee, si è diffuso in progressione geometrica, e le ultime testimonianze giungono da Malaga, nella costa andalusa, dove in una necropoli simile a quella di San Giorgio di Portoscuso sono stati rinvenuti vasi bolli-latte e parecchi frammenti di altra ceramica nuragica.
In questa immagine a lato:Vaso al Museo di Cadice
Il banchetto ha sempre avuto una connotazione sociale e religiosa, testimoniata da un’usanza di fratellanza (Marzeah) connessa con un banchetto al quale partecipavano personaggi importanti di varia nazionalità. I banchettanti, in questo rito, si legavano in modo sacro e indissolubile. I membri ricevevano una tessera in avorio che dava ospitalità, protezione e accesso alle riunioni in tutti i luoghi in cui esisteva questa confraternita. La necropoli di Monte Sirai documenta che le donne partecipavano al banchetto e fosse consentito il consumo del vino. I rituali erano legati anche al mondo funerario. Il corredo funebre che accompagnava il defunto era formato da due brocche, una delle quali conteneva il vino destinato alla libagione in onore del defunto. Questi rituali accompagnavano anche il viaggio funebre dei bambini, infatti già nell’VIII a.C., presso il tophet di Sulki sono attestati vasi per il trasporto del vino contenenti le ossa combuste dei bimbi sepolti. Le anfore commerciali per il vino avevano dunque un utilizzo secondario: erano contenitori di ossa che legavano il defunto al vino. Nella necropoli di Sulki abbiamo alcune brocche a bocca trilobata (oinòchoai) pensate e realizzate per contenere e versare il vino. A Sant’Imbenia esistono anfore con caratteristiche di unicità: eseguite a mano (non con il tornio) con la tecnica d’impasto dei nuragici. Queste anfore sono note anche a Cartagine, nell’area tirrenica e nella Spagna meridionale. Ciò testimonia che Cartagine, almeno in tutto l’VIII a.C. si avvaleva di contenitori da trasporto prodotti in Sardegna, nello specifico nella zona di Alghero. Gli impasti argillosi sono analoghi a quelli di altre forme realizzate nell’isola e ciò apre nuove prospettive sullo studio delle relazioni fra i sardi nuragici e l’esterno. Ciò che resta da chiarire è il periodo in cui i grandi contenitori da trasporto fecero la comparsa in Sardegna. Il repertorio delle ceramiche nuragiche, per le dimensioni ridotte, non offre contenitori adatti al trasporto, pertanto questi grandi vasi dovettero, almeno all’inizio, essere importati o realizzati copiando dai grandi vasi conosciuti nel Vicino Oriente e nei luoghi dove l’agricoltura consentiva un surplus destinato al commercio internazionale.Il mondo nuragico deve aver recepito la coltura della vite e i processi di vinificazione in connessione con l’arrivo delle prime genti orientali (forse i minoici cretesi, abili vignaioli) e acquisirono rapidamente le competenze per diventare produttori ed esportatori. Ciò che rende interessante questo argomento è che le anfore nuragiche sono dotate di fondo convesso, testimone di una destinazione esclusivamente indirizzata al commercio navale. Ne consegue che oltre alla coltivazione della vigna e alla produzione del vino, i centri specializzati gestivano anche il trasporto navale dei prodotti.
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