A metà tra natura e cultura il vino occupa un ruolo importante nella società moderna. Soprattutto da quando la globalizzazione, la diversificazione e l’accessibilità lo hanno diffuso ampiamente fuori dalla nicchia delle etichette europee d’autore. La mostra “How Wine became modern” organizzata al Moma di San Francisco racconta i trent’anni che hanno visto l’espansione della cultura del vino, in particolare di quello californiano, la crescita di una consapevolezza enologica popolare, la valorizzazione del territorio e la nascita della critica.
Strutturata come un percorso sensoriale, la mostra analizza le sfaccettature sensibili di un bicchiere di vino: il suo profumo, la sfumatura che proietta sul vetro appositamente progettato per ospitarlo, la parola più adatta per descriverne la suggestione, il corpo del sapore. Il curatore Henry Urbach in collaborazione con Diller Scofidio + Renfro ha volutamente scomposto l’esperienza affiancando oggetti di design con opere d’arte, strumenti per la viticoltura con presentazioni multimediali contemporanee, per un effetto di immersione totale, quasi teatrale, inebriante.
Oltre alle pareti interattive per cimentarsi in una vera e propria degustazione, nelle gallerie sono esposte le opere dei designer, le cantine progettate da grandi architetti come Norman Foster, Mario Botta, Renzo Piano, Calatrava e Alvaro Siza Vieira, ma anche le foto degli hotel pensati per ospitare il turismo enogastronomico in continua espansione. Tra le curiosità la “Carafe n°5” dello scultore francese Etienne Meneau, un decanter che crea un particolare effetto scenico versandovi il vino e il Judgment of Paris, l’opera allestita da Diller Scofidio + Renfro che racconta il leggendario battesimo del vino californiano alludendo all’Ultima cena di Leonardo.
Era il 1979 quando, durante una degustazione ufficiale a Parigi, nove sommelier bendati decretarono la superiorità di alcuni vini provenienti dal nord della California rispetto a stimatissime etichette francesi d’annata. Incredibile. Anche se quelle dichiarazioni furono in seguito smentite, da quel momento l’America poté entrare ufficilamente in competizione in un settore di mercato che per secoli le era stato interdetto.
Un percorso che ha bruciato le tappe spinto dalla curiosità e dalla voglia di ‘modernizzare’ un’istituzione antica da simposio europeo. Diventando moderno, il vino californiano ha contaminato e si è fatto contaminare da altre forme di cultura tra cui l’architettura, l’industrial design, fino alle arti visive e al cinema. Tutti ricordano Sideways di Alexander Payne, il film del 2004 che campeggiava sulle mensole delle videoteche con l’aria di una pellicola che andava lasciata decantare, per apprezzarne le eventuali qualità. Tuttavia, con un Oscar e due Golden Globe all’attivo, il film sul vino californiano come metafora della vita non è stato digerito con lo stesso entusiasmo in Italia e in Francia: era come se un regista italiano o francese avesse voluto raccontare agli Yankees la sensazione irripetibile di un perfetto cheeseburger.