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Il vino del dente di leone

Creato il 16 agosto 2014 da Annalife @Annalisa
quasi introvabile

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Ci vogliono almeno due premesse: la prima riguarda il fatto che i libri migliori scompaiono nelle nebbie del tempo recente, nessuno li ristampa più, nessuno li vende più. Perciò questa è la descrizione di un libro che non si trova (quasi); la seconda premessa riguarda il fatto che per Bradbury ho un debole, sia come scrittore di fantascienza (sono belli persino i titoli tradotti in italiano) sia come scrittore e basta. Se poi qualcuno vuole provare con “Lo zen e l’arte della scrittura”, scoprirà anche una persona interessante e intensa.
La seconda premessa per dire che sono più disposta a essere indulgente con lui piuttosto che con altri. Anche se penso che, in questo caso, l’indulgenza non sia necessaria.

“L’estate incantata” è davvero pieno di incanto. In certa misura, di magia. La magia del vino di dente di leone, quello del titolo originale (“Dandelion wine”), che permette di imbottigliare, uno alla volta, i giorni di un’estate che si potrà richiamare indietro con un sorso, quando sarà freddo e grigio.
La magia delle parole che, anche nella traduzione, riescono ad avvilupparti dentro l’estate di Douglas Spaulding, di suo fratello Tom, e di tutte le persone che girano intorno a loro e nelle strade a fianco, per tutta la cittadina di Green Town e anche appena un poco oltre. Ci sono descrizioni delicate, paragoni buffi e intelligenti, momenti di fiato in gola e paura che sfiorano Stephen King (prima che ti venga in mente che il secondo è stato allievo del primo), attimi di poesia e lirismo e subito dopo le urla e le risate di Douglas di fronte all’estate che arriva.
Sì, è un romanzo di formazione; chi non ama il genere potrebbe persino essere ingannato e tralasciarlo. Perderebbe molto: per esempio tutte le storie che si intrecciano e si incontrano sotto gli occhi o alla portata delle orecchie di Douglas, che spesso è semplicemente un comprimario o uno strumento per rendere partecipe il lettore di ciò che accade, è accaduto o potrebbe accadere. Perderebbe il mondo visto con gli occhi di una manciata di ragazzini o di vecchi, molti vecchi così pieni della loro vita da saperla (e volerla) abbandonare senza nessun rimpianto; perderebbe soprattutto una serie infinita di sapori e odori e caldo e freddo che arrivano addosso a chi legge da ogni parte delle pagine; e poi le riflessioni di piccoli e di grandi sulla vita, l’universo e tutto quanto [cit.], la consapevolezza che una moglie felice non è “magra come diventano le diciassettenni se nessuno le ama o grassa come diventano le cinquantenni se nessuno le ama, ma proprio giusta, tonda e soda come lo sono le donne a qualunque età se non dubitano di essere amate”.
Da evitare se pensate che in un romanzo così frammentario non ci debba essere molta dolcezza accanto a un po’ di paura.



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