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Il violino della Driade

Da Arkavarez

Il violino della Driade di Valentina Iesari
Quali sono i veri piani della Natura ? Perché una macchina così perfetta possiede anche degli ingranaggi mal funzionanti ? Perché alcuni possono godere dei suoi benefici, mentre altri rimangono nell’ombra, perché privi di quei doni che la Natura ha regalato senza indugi a creature migliori ? Non è giusto. Non è giusto che quelli come me vengano emarginati dal resto del mondo a causa della loro diversità. Anche noi abbiamo il diritto di essere partecipi di questo grande progetto che è la vita; ma allora perché non possiamo prenderne parte ? Forse la Natura ha un diverso piano in mente. Forse dobbiamo guadagnarci un posto in questa esistenza. E’ ciò che ho incominciato a pensare dopo quello che mi è accaduto. Io sono Tirion, una giovane driade dei boschi della Terra di Eiru, l’Isola di Smeraldo. Io e le mie sorelle siamo protettrici delle foreste, che si estendono su questa meravigliosa terra, ma a differenza di loro sono priva del dono della voce e del canto. Non posso parlare dal giorno della mia nascita e così mi sono precluse le danze e i giochi, che le mie simili compiono tra le alte querce. La mia vita si era ridotta ad un apatica e silenziosa esistenza. Credevo che nulla sarebbe potuto mai cambiare, almeno fino a quando non lo incontrai. Era un giorno qualsiasi e girovagando per i boschi sentii un suono soave ed armonioso, che sembrava chiamarmi. Lo segui incantata e mi ritrovai di fronte al più maestoso albero che avessi mai visto. Era alto ed imponente. Il suo tronco e le sue radici ispiravano protezione e sicurezza e le sue grandi fronde al passaggio del vento emettevano la musica più bella che avessi mai ascoltato. E così accade quello di cui le mie sorelle mi avevano parlato innumerevoli volte. Una Driade, una volta venuta al mondo, è destinata ad una sola cosa: innamorarsi perdutamente dello spirito di un albero e appartenere a lui per tutta la vita. Ed è quello che mi accade. Fu come un colpo di fulmine. Da quel momento in avanti le nostri sorti erano indissolubilmente legate. Nessuno dei due avrebbe potuto sopravvivere se l’altro fosse morto. Assuefatta dal melodica voce dei suoi rami, lo andavo a trovare ogni giorno per ascoltarlo. Egli sembrava parlarmi e narrarmi di tutte le vite che aveva osservato nello scorrere delle sua lunga esistenza. E per la prima volta tutto aveva un significato per me. La realtà in cui vivevo aveva finalmente riacquistato ogni suo colore ed ogni suo rumore. Non sentivo più la mancanza delle mie sorelle. Non ero più sola. Eravamo lui ed io e nessun’altro. Allora pensai che più nulla di orribile avrebbe potuto capitarmi, ma quello che non sapevo era che la tragedia era proprio dietro l’angolo. Un giorno, mentre mi stavo dirigendo verso di lui, udii nella foresta echeggiare agghiaccianti grida di dolore. La riconobbi. Era la voce della sua corteccia che veniva mangiata dalla bramosia del fuoco. Mi misi a correre verso di lui per giungere in suo aiuto. Un alta nube di fumo si levava tra le verdi fronde. Quando arrivai a destinazione vidi un gruppo di essere umani, che avevano acceso un falò per ricavare della legna da ardere dal mio amato albero. Lui stava morendo. Dovevo fare qualcosa prima che fosse troppo tardi. Mi scagliai contro quegli assassini. Essi sorpresi tentarono di spaventarmi con le loro fiaccole. Ma la rabbia e l’odio ardevano nel mio petto e nulla poteva oramai arrestarmi. Riuscii a metterli in fuga, ma questo non bastò a salvare il mio amato. Egli crollò sotto i miei occhi con un secco e sordo tonfo. Mi accasciai su di lui, mentre sentivo che anche la mia vita mi stava abbandonando. Egli però non avrebbe potuto accettare anche questo; e così con le ultime forze che gli erano rimaste, mi disse di prendere alcuni dei suoi rami e di farne un violino, in modo tale che lui fosse sempre rimasto con me fino alla fine dei tempi. Feci come mi aveva richiesto. Raccolsi alcune delle sue fronde, prima che il fuoco lo divorasse completamente. Dal suo legno costruii un’elegante violino. Decisi di imparare a suonarlo, così che mi esercitai giorno e notte senza sosta. Poi una mattina sopraggiunsero le mie sorelle, le quali si misero ad ascoltare la soave melodia che scaturiva dalle corde del mio strumento. Era lo stesso suono, che avevo udito il giorno in cui avevo incontrato il mio amato. Esse rimasero estasiate e si misero a danzare e a cantare in circolo intorno a me. Non credevo ai miei occhi. Da quel giorno non fui mai più sola. Il mio innamorato donandomi una parte di se mi aveva dato una ragione per vivere, mi aveva dato una voce, la sua voce. Torna Indietro

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