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Il volo del signor G

Da Fiaba

Martedì 06 Maggio 2014 11:22 Scritto da Giorio Anna Maria Gioia

volo-signor-g-1 copyPrima parte

Il signor G non era proprio matto ma un po’ strano sì, tutti lo perdonavano perché era ritenuto un artista ma la signora G arrivò al colmo dell’esasperazione quando lo vide aleggiare sul campanile della chiesa. La mamma le aveva detto di non sposare quell’uomo perché chi nasce con sei dita nella mano destra non è normale e invece quelle sei dita l’avevano reso un abile inventore.

Sapeva fare di tutto, ma proprio tutto, tanto che in paese chi doveva risolvere un problema di tipo pratico si rivolgeva a lui con fiducia. Ultimamente la sua arte inventiva si era fatta più ardita e si era messo in testa di volare con un apparecchio più semplice di un deltaplano e meno ingombrante di un parapendio. Nessuno avrebbe avuto niente da ridire riguardo ai suoi esperimenti di volo se non fossero stati così plateali.

Ogni volta era una commedia nuova: la prima volta si era buttato dal tetto di casa sua, poi dalla cima del pioppo più alto del paese e infine eccolo là sul campanile della chiesa.  La gente aspettava divertita e ansiosa una nuova rappresentazione e non sapeva se considerarlo un eroe o un matto.

-Cosa sarebbe successo cadendo da lassù? Si chiedeva tormentata la signora G.

Seconda parte

In un batter d’occhio la piazza fu tutta un pullulare di gente, c’era chi rideva e chi era in pena:  -Non farlo! Pregava la moglie.

-Chiamate i pompieri! Gridava qualcuno. Telefonarono al 118 ed arrivò un’autoambulanza proprio assieme alla gazzella dei carabinieri. Il maresciallo decise che era necessaria una rete di protezione. Finalmente giunsero anche i pompieri a sirene spiegate: velocemente svolsero un tendone e tesero le scale verso il cielo mentre il comandante dei carabinieri, con un megafono, invitava il signor G a scendere.

Le forze dell’ordine inoltre avevano formato un cordone protettivo per tenere a distanza gli spettatori che diventavano sempre più numerosi. Adesso la piazza sembrava proprio un circo, mancavano solo i giocolieri

. La signora G, sommersa dallo zelo dei paesani,  aveva trovato rifugio in chiesa dove, appunto, si era accordata con il sacrestano perché salisse fin lassù e avvicinasse cautamente il marito per distrarlo dal suo proposito.

Da parte sua il prete cercava di dissuadere il farmacista dall’idea di sparare al nostro inventore una puntura tranquillante, come si fa con le bestie feroci della savana quando devono essere catturate vive.

Terza parte

Un po’ più distante dal centro, la gente dell’aria, ovvero tutti gli uccelli del paese, allarmati, si riunirono a consiglio:

-Se questo individuo ce la fa, garrivano in coro le rondini, non avremo più pace qua nell’aria, gli umani solcheranno i tetti, scoveranno i nidi e ci cacceranno chissà dove!

-Non oso pensare ai cacciatori, rispose un merlo spaventato, volare con le mani libere significa avvicinarsi a noi sempre più pericolosamente imbracciando  il fucile con comodità.

-Dobbiamo trovare una soluzione! Dissero i passeri in coro, che vivendo sotto i coppi delle case si sentivano più direttamente in pericolo.

Una tortora amica del signor G affermò che non era un uomo pericoloso e suggerì di lasciarlo provare. Il cielo si coprì di fischi e squittii perché i volatili convocati cercavano di prendere in fretta una decisione. Alla fine pensarono di chiedere aiuto alle anitre selvatiche che conoscevano strani paesi lontani e avevano senz’altro molta più esperienza di loro. 

E così tutti erano impegnati a fare qualcosa: gli uccelli del cielo, la gente, i carabinieri, i pompieri, le forze dell’ordine riunite, gli operatori sanitari ed anche il prete e la perpetua che, per ogni evenienza, avevano acceso un lume davanti alla Madonna.

Quarta parte

Anche il sindaco venne a parlamentare per distogliere dal suo proposito l’ideatore di tanta impresa. Dal tetto di una casa di fronte al campanile,  iniziò il suo discorso: gli promise un nuovo  laboratorio con la più moderna attrezzatura nonché un vitalizio per un anno a spese del comune.

La gente mormorava infastidita alla prospettiva di dover pagare nuove tasse, cosicché il primo cittadino dovette far marcia in dietro e alla fine gli offrì una licenza per aprire uno studio in centro.

Poiché era abituato a fare comizi, il sindaco non la finiva più di parlare, venne sera e la folla degli spettatori cominciò a stancarsi, qualcuno abbandonò la sua postazione perché lo spettacolo languiva. Da parte sua il signor G non aveva ascoltato neanche una parola di quello che era stato detto in quanto aveva avviato una piacevole conversazione con Gustavo il sacrestano.

Discuteva di piante, di come crescevano bene i bulbi di tulipano nel giardino di casa sua e di come sua moglie decorasse la tavola da pranzo sempre con fiori freschi. Il signor G era un poeta e un sognatore oltre che un inventore folle, Gustavo sapeva prenderlo dal verso giusto...Intanto le ore passavano e si fece notte, in piazza era rimasto solo un manipolo di militari a tener d’occhio la situazione.

Quinta parte

Gustavo sfinito per la tensione di dover distrarre il signor G,  ad un certo punto si addormentò e il prode aeronauta pensò bene di passare all’azione. Ora che tutti si erano acquietati,  poteva benissimo cominciare il suo volo: si sarebbe lanciato oltre il fascio di luce dei riflettori che puntavano sul campanile e sarebbe andato verso occidente a riscoprire il giorno nell’altro emisfero. Fece vibrare il dispositivo che teneva sopra la testa, che gli serviva come radar, e si librò fiducioso nel buio della notte agitando furiosamente le sue piccole ali.

Scese velocemente verso il basso,  poi riuscì a stabilizzarsi ma i riccioli delle sue antenne lo fermarono presto aggrappandolo ad un filo della luce. Tentò di sciogliersi e si agitò in ogni direzione con l’unico risultato di restarsene stabilmente appeso come un salame. Ma il signor G era pieno di risorse: tolse dalla tasca degli attrezzi che portava sempre con sé, una valida tenaglia e con essa tagliò decisamente il ricciolo in questione.

 Il marchingegno che lo sosteneva andò inaspettatamente in corto circuito e il signor G cadde pericolosamente nel vuoto. Istintivamente sporse le mani e si aggrappò, si aggrappò ad un pennone: era il pennone della bandiera esposta in municipio. Abbracciò con tutto il corpo il robusto bastone e scivolò verso il balcone dove era infisso il sostegno. Lì si sentì sicuro e per la stanchezza e l’emozione si addormentò.

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Sesta parte

Si addormentò e sognò il più bel sogno della sua vita: strane anitre selvatiche lo trasportavano in volo su una sottile rete, come una tela di ragno, dove egli si adagiava mollemente. I tetti del paese diventavano sempre più piccoli mentre il sole tingeva il mare d’oro e di rosa. I campi sembravano pezzetti di carta colorata, ed egli saliva , saliva oltre le montagne fino a toccare le nuvole. Com’era bello volare! Pensò alla signora G, povera mogliettina sempre in ansia per lui! Si ripromise di portarle qualcosa da quel suo viaggio...Sì, le avrebbe portato un bel dono per farsi perdonare.

Planò con tutte le anatre dello stormo a pelo d’acqua come se fosse un idrovolante, la velocità lo tenne a galla. Poi si aggrappò ad un ramo sporgente di un albero che sostava sulla riva e vide il giardino più bello che avesse mai conosciuto. Si perse in mezzo a quei colori di paradiso e si inebriò al profumo di quel luogo: -Questo è il dono che porterò con me, si disse, e colse uno di quei fiori straordinari....

Se
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ttima parte

Un vento fortissimo strappò il paesaggio come se fosse il sipario di un teatro così comparve un’altra scena: il medico lo osservava preoccupato, non si riusciva a fargli riprendere conoscenza, lo avevano trovato un po’ tramortito sul balcone del municipio. Il palazzo era stato aperto dalla donna delle pulizie che, per arieggiare le stanze, aveva scoperto il corpo sul terrazzino del primo piano. Il signor G era stato condotto a casa tra un corteo di curiosi scalpitanti che volevano spiegazioni dell’accaduto. Quando uscì da quella specie di letargo in cui era caduto e aprì gli occhi, cercò il volto di sua moglie e le sorrise:

-Sapessi che viaggio stupendo ho fatto! Ma non riusciva a raccontare il suo volo, gli era rimasta una piacevole sensazione di meraviglia e nessun ricordo.

– So solo che è stato molto bello, le disse, peccato che i sogni non siano reali!  Allora la donna, commossa, si scostò leggermente per mostrargli che aveva sistemato in un vaso un fiore di rara bellezza che spandeva il suo colore luminoso nella stanza. Il signor G rammentò in un attimo quello che era accaduto ed esclamò stupefatto:

-Ma chi l’ha detto che i sogni non sono realtà?

***

Giorio Anna Maria Gioia, vive e lavora a Selvazzano Dentro (PD), laureata in Pedagogia, pittrice-incisore, Art-Counselor didatta, conduce gruppi di crescita attraverso il colore ed offre sostegno di consulenza individuale in situazioni di disagio psichico.


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