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Su Repubblica di oggi viene presentato, con un estratto dell'autore dal volume in oggetto, l'ultimo libro di Roger Scruton, filosofo che piace tanto ai teo-neo-con (io ho sempre avuto la tendenza di leggere “con” alla francese).Di tale estratto, riporto il ritaglio della chiusa (cliccate per ingrandire, doppio senso) perché ivi mi sembra espressa, in maniera lampante, l'essenza del pensiero immobile, di chi ritiene immutabile la condizione umana, condizione creaturale data una volta per tutte al momento in cui Dio si peritò di creare l'uomo a sua immagine e somiglianza.«Colpa, vergogna e rimorso sono aspetti necessari della condizione umana. Sono il residuo dei nostri errori e il segno che siamo liberi di commetterli».Liberi un cazzo, sì, liberi di piegare la testa di fronte all'ordine costituito, liberi di restare al di qua del perimetro invalicabile del Castello kafkiano.La salvezza è solo per gli atei, che accettano stoicamente il destinaccio infame per ricomporre il proprio io ribelle dentro l'unità di un mondo immodificabile e per i credenti, i quali la trovano estraniandosi dalle cose mondane e volgendo il guardo verso l'aldilà che li aspetta con milioni di sorprese gratificanti.È incredibile come ancora oggi esistano eminenti intellettuali affetti da tale sfacciata misantropia. Soprattutto è incredibile che essi trovino visibilità nelle terze pagine dei principali quotidiani nazionali come fossero voci autorevoli e non degli illustri rincoglioniti.«La nostra colpa»: di che cazzo abbiamo colpa, Scruton, di vivere? Vai a dirlo a quell'un per cento di merdaioli che affamano il mondo di chi è la colpa, porco del tuo dio, di qualsivoglia religione tu voglia appiccicargli addosso. Prova a spingere il nasino un po' più in là delle tue meritate comodità di esimio funzionario del presente ordine sociale, prova a scoprire la causa del disordine, dell'ingiustizia, della sperequazione, lévati le cispe dagli occhi per vedere che «le sofferenze [non] derivano dal carico di responsabilità che ci assumiamo come membri della nostra comunità».
Va tutto bene là fuori finché ci sono schiavi sufficienti ad alimentare la voracità di un sistema politico economico e sociale che si fonda, appunto, sull'idea che questo sia il migliore dei mondi possibili, quindi tutti contenti; la realtà va presa per quel che è, guai a pensare di trasformarla seguendo intenzioni che spaventano il potere; vietato cercare altre soluzioni per far sì che il lavoro liberi e non imprigioni.
E vabbè, finito il mio sermone. Non sarà mica che parlo così perché non sono un accademico?
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