C’è un esercito che bussa alle porte del sindacato. Sono gli oltre quattro milioni di lavoratori precari e atipici. Accanto a loro sono da aggiungere oltre un milione di professionisti senza tutele. E’ ipotizzabile che una buona parte di loro possano essere collocati tra gli otto milioni che hanno votato per Grillo. Convinti così di poter dar vita a una stagione di cambiamento e non solo a rinnovare urla giustizialiste. E’ una fetta di società che chiede non solo un “posto” fisso e un salario dignitoso, ma un ruolo nel mondo del lavoro. Il diritto di essere riconosciuti, magari senza il dovere di timbrare ogni giorno il cartellino, ma godendo di spazi di autonomia e di tutele essenziali. La Cgil ha operato in questi anni col Nidil (e Cisl-Uil attraverso analoghe organizzazioni) e sostenendo movimenti come i giovani “non più disposti a tutto”. La stessa segretaria generale della Cgil Susanna Camusso ha sostenuto che ad ogni modo il sindacato deve fare molti passi avanti per rendere più efficace la contrattazione capace di dare risposta alle attese di quell’esercito. Una svolta resa ancora più necessaria dal voto di febbraio e dal rischio che tanti lavoratori invece che al sindacato o alla sinistra politica si rivolgano a salvatori immaginari che poi, alla prova dei fatti, si rifiutano di assumere un ruolo costruttivo rispetto alla impetuosa domanda sociale.
Proprio di questa svolta ho parlato in questa rubrica accennando al volume “In-flessibili”, una guida pratica della Cgil, dedicata appunto alla contrattazione per i precari. E che aveva suscitato interesse e apprezzamenti da parte di studiosi come Sergio Bologna e Aldo Bonomi (anche se traspariva dai loro scritti la convinzione che ormai il post fordismo sia destinato a tramutare il mondo del lavoro in una specie di “liberi tutti”). C’è chi ha criticato questa segnalazione interpretandola come un sostegno a chi vorrebbe considerare la “svolta” della Cgil una specie di rassegnazione a limitarsi a “contrattare il precariato” lasciando perdere ogni ipotesi di stabilizzazione. Io avevo in realtà accompagnato le parole di Bologna e Bonomi, la citazione del volume, a un accordo siglato da Nidil e Filcams alla Ifoa. Un accordo che come altri portati a termine in questo periodo, mi sembrava coerente con le impostazioni contenute nella “svolta”. Esso infatti portava alcuni lavoratori al posto fisso mentre per altri, considerati in ruoli diversi nei processi di lavoro, con gradi diversi di autonomia, si assicuravano tutele positive.
Era una risposta alle affermazioni contenute nella prefazione di “In-flessibili” sottoscritta da due segretari confederali della Cgil, Elena Lattuada e Fabrizio Solari, laddove spiegavano come il sindacato avesse il dovere di ascoltare chi vive un’“odiosa condizione”, elaborando insieme “percorsi concreti di cambiamento”. Il sindacato, concludevano, “può aprire uno sbocco positivo, motivare le persone che lottano insieme a loro per un futuro migliore ma per farlo dev’essere in grado di avanzare proposte credibili e realizzabili”. Non si deve aspettare, dunque, che cali dall’alto magari una legge risolutiva che cancelli le iniquità sociali in questo campo. Così nella “Guida” si può leggere come sia importante “organizzare le elezioni dei delegati degli atipici e dei professionisti” facendoli entrare nelle rappresentanze sindacali aziendali e come sia importante ascoltare i precari per appurare le loro istanze che spesso non mirano a un immediato posto fisso, ma soprattutto mirano a tutele oggi negate.
Un sostegno a una contrattazione più efficace nel campo degli atipici e precari lo si può del resto ritrovare anche in un documento interno alla Cgil, scaturito da un seminario svoltosi a Milano il 10 dicembre dello scorso anno. E’ una “traccia” che porta come titolo “per un nuovo modello contrattuale inclusivo”. Tale documento denuncia come “precarietà e assenza di diritti per milioni di persone”, insieme a “una devastante disoccupazione giovanile” rappresentino “un’emergenza democratica”. Da qui l’esigenza di “affidare quindi alla contrattazione e non solo alla legge un peso decisivo”. La svolta preconizzata “deve riguardare anche il come si guarda a questa condizione e a come la contrattazione poi deve rappresentare e tutelare le diverse identità che sono in campo”. Insomma “si tratta di distinguere gli abusi della precarietà, da ricondurre al lavoro subordinato attraverso una forte azione di contrasto, da quelle forme di lavoro autonomo che non sono riconducibili al lavoro dipendente le quali incontrano il favore delle persone ma che richiedono comunque una forte azione di riconoscimento dei diritti oggi negati”. E’ la strada per “superare in via definitiva una linea difensiva sulla precarietà per affermare dentro la contrattazione la rappresentanza di tutte le figure deboli e non del mercato del lavoro”.
Sono affermazioni che possono rappresentare l’inizio di una stagione nuova. Sapendo che le elezioni le hanno perse, in un certo senso, anche i sindacati, anche Cgil, Cisl e Uil. Perché il consenso ricevuto da uno come Grillo che vuole abolirli i sindacati e che vuole sovvenzionare il reddito di cittadinanza licenziando i lavoratori pubblici e rifiutando ogni proposta di governo, non rappresenta certo un sostegno ai rappresentanti del mondo del lavoro.