“Chi siamo noi e dove andiamo noi a mezzanotte in pieno inverno ad Alessandria…” cantava Paolo Conte in una delle sue canzoni più esistenziali e irresistibilmente blasé. Aggiornato al nostro contesto politico non meno nebbioso di quello della grigia città piemontese, potremmo chiederci: chi siamo noi e dove andremo a parare noi che abitiamo nell’inquieta provincia di Bolzano? Sembrano infatti arretrare in un indefinito e mitologico passato i tempi in cui chi amministrava la cosa pubblica era provvisto non dico di “visioni” – termine oggi sempre più evocato da chi ne è palesemente privo – ma almeno di qualche buona idea su come progettare un futuro non desolatamente schiacciato sul magro traguardo delle prossime elezioni.
Prendiamo per esempio la Svp. Una volta era il partito dell’incrollabile maggioranza assoluta. Il partito dei “tedeschi”, certo, ma votato anche perché, nelle fasi turbolente di un percorso autonomistico irto d’ ostacoli, ritenuto in possesso di una bussola più abituata a decifrare i pericoli di un naufragio. Adesso invece il richiamo alla cosiddetta Vollautonomie esprime soprattutto una sorta di placebo tranquillizzante (la definizione acuta è di Hans Heiss) che non placa il malessere originato da una profonda indecisione: l’autonomia integrale rappresenterebbe un’evoluzione dell’autonomia o un preambolo della secessione? Anche in questo caso c’è una densa, densissima nebbia. E nel nebbione già s’odono minacciosi gli ululati lupeschi di chi può permettersi il lusso di non curarsi di queste e altre simili bazzecole, e anzi punta dritto a un “tanto peggio tanto meglio” irresponsabile eppure in grado di attirare notevoli e fresche simpatie.
È un “noi” che si sta estinguendo. Una volta smarrita la diversità dell’etica etnica (scandalo Sel docet), una volta non più negabile la crisi di leadership e il contrasto generazionale complicato da contrasti d’altra natura (il dissidio tra Durnwalder e gli Ebner, per esempio), una volta svanita infine una chiara delimitazione tra ciò che è possibile concretamente ottenere e ciò che appartiene invece al mero dominio dei sogni d’irrealizzabile onnipotenza, sembra finire così inghiottito dalla nebbia anche il riferimento a quel soggetto collettivo – per l’appunto, chi siamo noi? – finora tenuto al riparo da pericolosi dubbi amletici. Se almeno al tramonto dell’antico noi albeggiasse, da qualche parte, un noi sostitutivo più ricco, più vario, più sciolto da tutti gli irrigidimenti e dalle inevitabili opposizioni di cui siamo stanchissimi eredi. Un noi senza l’ossessione demente di fondare sempre di nuovo un perimetro intorno alla propria piccola casa con porte e finestre sbarrate. Se non è già tardi.
Corriere dell’Alto Adige, 17 gennaio 2012