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In Italia si fa un gran parlare di politiche per la crescita, di agganciare la ripresa, addirittura di come condizionare le future scelte europee mettendo l’accento su più occupazione e meno austerità. Il presidente Letta definisce una vittoria la decisione di ospitare una conferenza sul lavoro dell’Unione Europea. Nel frattempo il Partito Democratico svolge un autolesionistico congresso in cui sfugge qualsivoglia distinguo programmatico, qualsiasi oggetto del contendere che non sia riconducibile a uno scontro personalistico tra candidati. Non solo non esiste nessuno sfondo ideale, di lungo respiro, ma neppure qualche idea concreta su come uscire da questa crisi. Ma proprio di questo si dovrebbe trattare per dare un senso minimamente compiuto ad un’azione politica in questa fase. Il quadro di quel magma che si potrebbe definire di orientamento socialista e/o democratico invece sembra essere fagocitato in un vuoto senza sbocco.
La crisi attanaglia l’intera economia nazionale dentro un quadro continentale da depressione, si affaccia il pericolo deflazione e lo spettro evocato è il Giappone a partire dagli anni Novanta. La disoccupazione aumenta, il numero dei poveri pure, l’industria passa da una contrazione all’altra di ordinativi e degli indici della produzione.
L’unica sfera momentaneamente fuori pericolo sembrerebbe la solvibilità del debito sovrano e la possibilità di continuare ad emettere debito (ma sempre dentro un quadro in cui il debito nazionale cresce in percentuale al Pil e in termini assoluti). Solo la borsa e le attività finanziarie sono effettivamente in ripresa, ma grazie a scelte monetarie ultra-espansive di ordine globale, non certo in conseguenza di un recupero dei fondamentali economici.
Se questi sono i problemi in campo, quale opzione costituisce il campo socialista, riformista, democratico? Cioè quel campo di forze che, utilizzando una categoria vendoliana, almeno «odora di sinistra», perlomeno per una parte dei suoi elettori? Si potrebbe pensare che l’incapacità ad agire sia dettata dalle “fortuite” circostanze che vedono il partito democratico al governo con la destra e che inducono Sel e forze tradizionali di sinistra ad attendere che passi la nottata. Ma la prova del nove in questo senso è rappresentata dal caso francese. Lì il partito socialista lo scorso anno ha vinto nettamente le elezioni nazionali, aveva una maggioranza stabile, e soprattutto il premier Hollande aveva annunciato un cambio di passo considerato correttamente realizzabile solo a partire dalle politiche continentali, perché quello è il livello da cui sarebbe necessario invertire la rotta. Sembrava che la vittoria socialista transalpina annunciasse un nuovo paradigma che, a partire dalla rimessa in discussione dell’austerità, potesse irradiarsi sulle contraddizioni della UE. Dopo poco il fiscal compact invece veniva assunto dal parlamento francese e da lì in poi iniziava un percorso di progressiva involuzione e riallineamento alle politiche economiche prevalenti su scala europea. I risultati non si sono fatti attendere. Gli ultimi dati, quello del terzo trimestre (luglio-settembre) di quest’anno fotografano come la modestissima ripresa del trimestre precedente fosse piuttosto effimera: tornano la contrazione del Pil del 0.1%, il calo delle esportazioni del 1.5% e quello della produzione dell’1%, e arriva conferma della riduzione degli investimenti. Se la Francia, come seconda potenza continentale, rappresenta il paese intermedio tra i cosiddetti Piigs e il blocco imperniato sulla Germania (che anch’essa non gode di molta salute), tutto lascia intendere come le difficoltà di bilancio, produttive e, soprattutto, sociali si stiano allargando a macchia d’olio per l’Europa. Il declino europeo sembra inesorabile e nessuna opzione socialista o democratica appare in campo. Il crollo dei consensi per Hollande a tutto vantaggio della destra radicale ne è la conferma. Al vuoto progettuale e di prospettive corrisponde disillusione e desertificazione politica. Nessun rinvio e nessuna attesa di migliori condizioni può nascondere il fallimento delle sinistre.
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