Anna Lombroso per il Simplicissimus
Chiamiamola banalità del male, chiamiamola arroganza del potere, chiamiamola inclinazione invincibile a pronunciare frasi inopportune che caratterizza gli uomini di governo a tutte le latitudini. Si apprende che il ministro del Consumo francese, Benoît Hamon, ha proposto alle associazioni umanitarie di distribuire ai loro “amministrati”, a quelli che da noi in fase di più esuberante eufemismo furono chiamati pudicamente non capienti, insomma ai poveracci, le lasagne e tutti gli altri piatti pronti, ritirati dalla vendita perché l’etichetta non corrispondeva al contenuto. “Esiste una norma che prevede che si possano donare i prodotti che hanno un’etichetta difettosa” ha spiegato il ministro. E noi come potremmo etichettare la sua proposta così realistica e concreta dopo che In Francia è stato registrato un crollo del 45% nella vendita di piatti pronti surgelati da quando è scoppiata la crisi delle lasagne al cavallo, 300 tonnellate in meno rispetto allo stesso periodo del 2012? Dopo che la società Spanghero ha messo in commercio 750 tonnellate di carne di cavallo, di cui 550 sono servire per confezionare 4,5 milioni di piatti “contraffatti”, coinvolgendo delle etichette 28 società presenti in 13 paesi europei?
Personalmente non ho particolari pregiudizi nei confronti della carne di cavallo, assaggiata sotto forma di proverbiali sfilacci e non molto gradita. Trovo piuttosto risibile la schizzinosità inglese, tradizionalmente snob, che vieta di alimentarsi di animali “amici” e nobili, mettendo sullo stesso piano vecchi ronzini, i destrieri di Balaclava e i corgi della regina. E non solo perché la fame è fame, come in fondo suggerisce il ministro, ma perché fatti salvi usi, tabù, prescrizioni e divieti cosher, il problema va ben oltre l’etichetta, le menzogne convenzionalmente accettate dalle regole commerciali, perfino l’accesso dei cittadini e consumatori. Il fatto è che – e questo vale per quasi tutti i capisaldi delle politiche europee – anche il principio di precauzione e quello di responsabilità si direbbe valgano solo a tutela di privilegiati, “capienti”, abbienti. Così che farmaci scaduti prendono la via dei Pvs, motorini inquinanti vengono destinati a mercati meno scrupolosi, rifiuti tossici vengono imbarcati alla volta di spiagge africane. E poco ci manca che dopo averli offerti alla Banca alimentare, al Secours Populaire e al Restos du coeur, i “quattro trotti in padella” vengano magnanimamente proposti alla Grecia e ad altri Pigs, equini ai suoni insomma.
In questa indole all’ipocrisia, in questa deriva tra peloso pietismo e pragmatismo neoliberista, si riduce l’etica a deontologia e la sicurezza a elargizione arbitraria. Come se il problema risiedesse nella pubblicità ingannevole e nelle etichette menzognere e non invece nella circolazione di materie prime alimentari e non che sfuggono a controlli, a sistemi di vigilanza occhiuti a intermittenza, a patti commerciali produttivi opachi e soggetti a pratiche corruttive, per non parlare di un ambiente sempre più contaminato, sempre più esposto a danni irreversibili, sempre più permeabile al pericolo di tremende infestazioni, per quella smania dissipata di superamento di ogni limite in nome dell’avidità e del profitto.
E dietro a etichette chimicamente e organicamente corrette, bovine, ovine, equine, biologiche, vegan, si può nascondere il veleno di quella crescita irrispettosa, illimitata, dissoluta della quale non siamo in grado di prevedere, prevenire e controllare gli effetti. Mentre i ministri dovrebbero controllare le loro esternazioni, per non rendere così visibile e sfrontata la loro appartenenza a un mondo protetto e separato, a una élite lontana e sprezzante, che preferisce la commiserazione e la carità all’uguaglianza e alla solidarietà.