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È il 1979 e Salvatore Piscicelli esordisce sul grande schermo con una storia che narra dell’amore tra due donne, Immacolata e Concetta, a Pomigliano d’Arco, paese d’origine del regista al tempo appena trentenne.
Un amore saffico fra una donna sposata con figlia e un’altra uscita di galera da poco in un piccolo paese del meridione, si accompagnerebbe di scandalo/scalpore anche oggidì, figuriamoci trent’anni fa. Sebbene si tratti di un’opera prima s’intuisce la tendenza di Piscicelli a non affogare nel compiacimento erotico, ma di saper trattare l’eros con rispetto e competenza. Vedasi Il corpo dell’anima (1999).
La dimensione sociale in cui la coppia lesbo è calata non vede ovviamente di buon occhio la loro relazione (il marito di Immacolata preso in giro dai colleghi è parecchio divertente), tuttavia tale liaison risulta a conti fatti ben più autentica in termini di umanità rispetto alle condotte meschine di alcuni personaggi.
Lungi dal voler giudicare, Piscicelli mostra quanto e come l’assenza di una morale, anche minima, segni la vita di queste persone. Ovviamente è il viscido Ciro a farla da padrone nel cerchio dei cattivi, ma il fatto che l’autore non voglia stigmatizzare il comportamento di nessuno lo si capisce da come la “sua” Immacolata, di nome e non di fatto, commetta atti poco ma molto poco puri (è ‘na zoccola) che arrivano addirittura a tradire l’amata Concettì, a testimonianza di una realtà sociale arida di valori in cui credere e soprattutto di qualcosa in cui sperare – la figlia, difatti, viene mandata in una specie di collegio-ospedale per garantirle un futuro migliore – .
Alcuni limiti del film.
Non troppi, né particolarmente significativi. Rintracciabili più che altro nell’aver, tra virgolette, la colpa di essere un lungometraggio d’esordio con tutte le imprecisioni possibili accentuate, e qui sta forse l’ostacolo più grande, dal passare degli anni che non permette di gustare appieno la realisticità dell’opera a chi è ormai abituato a colori sgargianti e riprese iperboliche.
Piccoli problemi sorgeranno inoltre per chi come me non conosce il napoletano; essendo gran parte del film recitato in dialetto potrebbe risultare complicato, e per il sottoscritto lo è stato, comprendere alcuni passaggi. Comunque la lettura è abbastanza intuitiva e non necessita di un’attenzione esagerata.
Gli attori, tra loro anche non professionisti, trasmettono sincerità con il loro modo sanguigno di porsi. Ida Di Benedetto che sancisce con questo film un lungo sodalizio con Piscicelli, è davvero credibile nel suo ruolo, non si può dire la stessa cosa del suo alter ego Concetta interpretata da Marcella Michelangeli che forse paga la non appartenenza alla terra napoletana, lei era di Genova, la quale invece accomuna gli altri interpreti.
In definitiva un film che racconta un pezzetto d’Italia che non c’è più, e lo fa genuinamente toccando picchi di drammaticità inaspettata: l’inquadratura finale fatte le dovute proporzioni anticipa di un bel po’ il grande Tsai Ming-liang.
Un’Italia che non c’è più, e probabilmente anche un cinema che ormai si è disperso nel tempo.
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