di Luca Ferrara*
*dottorando in scienze filosofiche
Nel primo articolo abbiamo posto le premesse per un possibile confronto tra Immanuel Kant e Tommaso d’Aquino, nel secondo articolo abbiamo introdotto le due quaestiones dell’Aquinate, all’interno della seconda sono contenute le celebri “cinque vie” per la dimostrazione di Dio, nel terzo articolo abbiamo esposto le cinque dimostrazioni dell’esistenza di Dio formulate da San Tommaso, mentre nel quarto articolo abbiamo visto la concezione dell’esistenza di Dio nell’Illuminismo. Ora valuteremo il pensiero metafisico all’interno del pensiero kantiano.
L’opera di Kant, pur essendo influenzata da diversi motivi teoretici, assume una particolare curvatura speculativa ben riconoscibile fin dagli scritti giovanili. Senza dubbio l’autore tedesco vissuto in un periodo (1724-1804) in cui massima era l’influenza culturale e politica dell’illuminismo ha avvertito la necessità di misurarsi parimenti con alcuni dei maggiori filosofi del Settecento, sia tedesco come Wolff, Baumgarten, Crusius, sia francese e inglese, come Rousseau e Hume. Se si dovesse prendere come direttrice delle nostre ricerche la questione dell’esistenza di Dio per indagare il pensiero kantiano, essa assorbirebbe non solo un numero notevole di pagine, ma anche una mole di tempo quantificabile in alcuni decenni.
Il problema dell’esistenza di Dio è riscontrabile nell’intera produzione kantiana: negli Scritti del periodo precritico, come in quelli del periodo critico. Kant è un autore che ha messo al centro dei suoi interessi speculativi e pratici la metafisica. Ognuna delle sue opere potrebbe essere considerata un momento significativo di un’articolazione progressiva finalizzata alla formulazione di un sapere metafisico, ragion per cui la ricerca su questo tema va circoscritta. Noi affronteremo il problema dell’esistenza di Dio nella seconda edizione della “Critica della ragion pura”, dove la dimensione speculativa e la maturità teoretica raggiungono la massima espressione, e dove riscontrabile parzialmente una critica alle argomentazioni tomiste presenti nella “Summa”.
Kant, nel corso del suo sviluppo intellettuale tiene conto di molti degli autori citati nel paragrafo precedente, in particolare la sua speculazione, nella prima “Critica”, viene ad articolarsi in un confronto serrato con le posizioni di Wolff, Baumgarten e Hume. Il filosofo accetta la partizione della metafisica in due parti, proposta da Wolff e seguita da Baumgarten. La prima parte viene denominata methaphysica generalis o ontologia, la quale ha il compito di studiare le proprietà generali degli enti; mentre la seconda parte denominata methaphysica specialis, articolata a sua volta in tre parti: psicologia (studio dell’anima), cosmologia (scienza del mondo) , teologia (scienza di Dio). Kant fa propria questa partizione, ma attribuisce un significato del tutto nuovo a questa divisione. L’ontologia non è più considerata scienza dell’ente, ma, alla luce delle ricerche svolte nella “Critica della ragion pura”, è un teoria delle condizioni dell’ente; mentre la metafisica speciale, sebbene tratti di oggetti che cadono fuori dall’esperienza umana, rappresentano l’anelito perenne della ragione all’assoluto.
Vediamo ora come si articola la celebre opera kantiana e a quali problemi tenta di rispondere. La “Critica della ragion pura” consta di due parti: Dottrina trascendentale degli elementi e Dottrina trascendentale del metodo. La prima parte della prima Critica corrisponde alle due partizioni in cui si viene ad articolare la metafisica wolffiana (metafisica generale e metafisica speciale). A sua volta la Dottrina trascendentale degli elementi, preceduta da due Prefazioni (alla prima e alla seconda edizione della “Critica della ragion pura”) e da un’Introduzione, si articola in due sezioni: Estetica trascendentale e Logica trascendentale. La prima studia le forme a priori dell’intuizione, la seconda, che a sua volta si articola in altre due parti (Analitica trascendentale e Dialettica trascendentale) studia nella prima le funzioni dell’intelletto e nella seconda le idee della ragione. L’opera kantiana ha una quadruplice valenza: logica, epistemologica, gnoseologica e ontologica. Tali istanze si riassumono nel tentativo dell’autore di dimostrare la possibilità dei giudizi sintetici a priori, tramite un’analisi (critica significa, seguendo l’etimo greco, distinguere, discernere) accurata della ragione nelle sue conoscenze pure (prive di qualsiasi commistione con l’esperienza). Secondo Kant si danno due tipologie di giudizi: analitici e sintetici. Nei primi la connessione tra soggetto e predicato fa leva sul principio di non contraddizione, tramite cui è possibile riscontrare che il predicato è contenuto a priori già nella nozione di soggetto. Kant porta un esempio, poi divenuto celebre: i corpi sono estesi. Il concetto del predicato — “estesi” —, (“sono” viene considerato “copula”) è incluso nella nozione del soggetto; mentre il filosofo porta come esempio di giudizio sintetico “i corpi sono pesanti”, dove la nozione di pesantezza è riscontrabile tramite l’esperienza, ragion per cui si viene ad aggiungere al soggetto, e da questi non è deducibile a priori, perciò il filosofo li definisce sintetici a posteriori. Kant afferma che vi è una terza tipologia di giudizi — i sintetici a priori — i quali non rientrano nelle due tipologie precedenti, ma sono propri della metafisica e della scienza.
Questa partizione triplice dei giudizi stabilita da Kant rompeva con la tradizione precedente, infatti sia Hume che Leibniz avevano sostenuto la possibilità di ridurre il nostro sapere a due classi di giudizi. Per il filosofo di Lipsia le proposizioni potevano essere formulate come verità di fatto, il cui contrario era sempre possibile, oppure come verità di ragione il cui contrario era sempre impossibile. Le prime erano verità sintetiche, a cui la mente umana perveniva, tramite il prinicipio di ragione sufficiente, nel corso dell’esperienza; mentre la mente, nelle seconde, seguendo il principio di non contraddizione e il principio di identità, perveniva tramite un ragionamento, il cui valore era necessario e universale. Il filosofo scozzese considerava che le modalità nelle quali era possibile fissare la nostra conoscenza fossero o relazioni fra idee o materie di fatto. Le prime avevano un valore ideale, una necessità che era loro intrinseca (non a caso riguardavano la matematica); mentre le seconde riguardavano il campo delle nostre conoscenze empiriche. Sia Leibniz che Hume, adoperando questa duplice distinzione, sembravano porre uno iato tra reale e ideale; il tentativo operato del criticismo kantiano con la formulazione di una terza tipologia di giudizi (i sintetici a priori), si prodigava al fine di ridurre, se non eliminare questo solco tra l’ambito empirico-fattuale e l’ambito metafisico-logico.
Secondo Kant i giudizi sintetici a priori sono propri della matematica (aritmetica e geometria), della fisica e della metafisica. Nei giudizi sintetici a priori non solo il predicato aggiunge qualcosa di nuovo al soggetto, ma lo aggiunge in modo a priori (universale e necessario). In aritmetica — Kant porta il celebre esempio “7+5=12”— il predicato viene aggiunto al soggetto tramite una procedura a priori che è ascrivibile al forma del senso interno: il tempo. La proposizione considerata non è analitica, perché il predicato viene aggiunto nel tempo. Il tempo costituisce l’essenza del numero, ma il tempo non è nella cosa stessa, nel numero, ma ad esso bisogna pervenire per comprendere la produzione dei numeri e per fare operazioni tra loro. Il tempo mi fornisce un numero infinito di quantità pure, ma come sono connesse tra loro? Secondo il filosofo tramite una delle dodici categorie dell’intelletto. Le categorie sono funzioni dell’intelletto, e tramite esse l’intelletto pensa e conosce. Quando sono usate per sintetizzare una molteplicità empirica (le sensazioni) o pura (i numeri le linee i punti, etc…), ordinate tramite le due forme dell’intuizione (spazio e tempo) esse sono responsabili del processo conoscitivo. L’Analitica trascendentale studia nella sua prima parte (Analitica dei concetti) la relazione tra categorie e giudizio e categorie e intelletto, decretando il loro numero in modo a priori e la loro applicabilità all’esperienza, pur non derivando dal mondo empirico. Ma come è possibile che non essendo generate dall’esperienza possono venire applicate all’esperienza? L’oggetto deve conformarsi alla struttura trascendentale del soggetto altrimenti non sarebbe per noi. Come siano gli oggetti in sé nessuno lo può sapere. Le categorie schematizzate (cioè temporalizzate) forniscono conoscenza, mentre prive di riferimento all’esperienza possono generare o un’illusione trascendentale, collocando la ragione nella spiacevole situazione di trovarsi a dover affrontare un problema che lei stessa ha generato e che lei stessa deve risolvere: questi problemi sono quelli della metafisica speciale, considerati da Kant nella Dialettica trascendentale.
La Dialettica trascendentale studia la logica della parvenza. Tale parvenza si configura come un’illusione necessaria, prodotta dalla ragione stessa, nel tentativo di oltrepassare i limiti dell’esperienza. Ma cosa può fare la filosofia trascendentale per evitare che le presunte conoscenze metafisiche protraggano il loro inganno? Indagando l’origine delle presunte conoscenze metafisiche. La perenne situazione conflittuale in cui viene a trovarsi la ragione umana è generata dal tentativo di accedere ad un campo di conoscenze incondizionate (assolute), ma la ragione non si può opporre a questa tensione versa l’incondizionato, in quanto le è connaturata. L’unico modo tramite cui la ragione può evitare di cadere in contraddizione con se stessa è la possibilità di indagare la sua struttura, sicché perviene ad un dominio di conoscenze che si configurano metafisiche, nella misura in cui non riconducibili al dato empirico, ma alla struttura della ragione umana che è meta-temporale. Il filosofo tedesco riprende, come dicevamo sopra, la bipartizione wolffiana della metafisica, dando a tale suddivisione un significato totalmente diverso. La prima parte della metafisica o ontologia, per Kant non è più una teoria dell’ente come per Wolff, ma una teoria delle condizioni dell’ente (a questa parte corrisponde, nella “Critica della ragion pura”, l’Estetica trascendentale e l’Analitica trascendentale, prima parte della Logica trascendentale). La seconda parte della metafisica o metafisica speciale secondo la definizione wolffiana è tripartita in tre ambiti: psicologia razionale; cosmologia razionale; teologia naturale. A questi tre ambiti corrispondono nella Dialettica trascendentale (seconda parte della Logica trascendentale) tre idee della ragione: anima, mondo e Dio.
Kant intende, con il termine “idea”, per un verso un concetto necessario della ragione, come un modello, un archetipo a cui essa sempre tende, per un altro intende il contenuto, l’oggetto di quest’idea a cui non è possibile trovare un corrispettivo empirico. Il filosofo tedesco adopera il termine “idea” con una duplice accezione. In primo luogo, l’idea viene intesa in un significato platonizzante, come ciò di cui non si può pensare il massimo, in quanto l’idea è la totalità delle condizioni del condizionato. In secondo luogo, l’idea viene considerata nel suo contenuto, per ciò che rappresenta, nella misura in cui la ragione tenta di farne oggetto di conoscenza, ipotizzando la possibilità di fare esperienza della totalità delle condizioni del condizionato, ma ciò è contraddittorio perché travalica i limiti dell’esperienza. Se l’intelletto procede sintetizzando una molteplicità di dati ordinati dagli gli a priori di spazio e tempo tramite le categorie, la ragione procede sintetizzando giudizi tramite sillogismi. Ad ogni idea, poi, corrisponde una modalità di formare sillogismi.
Nel prossimo articolo ci soffermeremo sulla terza idea (l’idea di Dio) che riguarda il nostro lavoro di confronto tra Kant e Tommaso, pertanto rimandiamo il lettore curioso o lo studioso attento che vogliano approfondire le prime due idee (anima e mondo) della Dialettica trascendentale ai diversi commentari della “Critica della ragion pura”.