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Immortalità artificiale.

Creato il 16 giugno 2012 da Tnepd
Immortalità artificiale.La storia di un antico problema di relazione. Io e la morte…Ci ho messo un pò a entrare nell’ottica giusta, in verità. Nell’ordine di molti anni.Ma sempre meglio, rispetto a  tutti quelli che si credono artificialmente, artificosamente e pienamente a torto, immortali. Non è vero?Il rapporto con la morte è di importanza estrema, lungo la via dello spirito libero e creativo.Da piccolo, la dipartita di cari mi provocava sempre un effetto tragico; di gran lunga più intenso ed esteso, rispetto a quanti a quello che parevano subire quanti mi circondavano. Non sono mai riuscito a “riprendermi” completamente, da una sola delle dipartite di cui ho dovuto far esperienza. Del resto, non  ho mai fatto “come se nulla fosse”, anche al sopraggiungere di altri tipi di delusioni e lutti, per  figurati o simbolici che fossero. Poi, un giorno, ho preso a capire.Quanti mi circondavano, invece, non hanno mai preso a capire un bel niente, in fatto di morte e “consanguinee”. Li vedevo. Immobili, quasi inerti; o chiassosi e lamentosi a non finire. Ma nessuno, nessuno tra loro che meditava su quel tipo di evento. Su quel genere, di eventi. Nessuno, rapito dal mistero di un fenomeno, senza il quale neppure la vita stessa, sarebbe dopotutto possibile. Un giorno ho capito, o perlomeno ho preso a imparare lezioni, da tutto quel dolore “non trattato”, che con gli anni avevo giustamente accumulato in fondo all’anima. Ma gli altri, intorno a me, non sembravano far tesoro, né progredire. Era come se ogni successiva dipartita, reale o simbolica, ogni delusione o disillusione, generasse in loro un sempre maggiore distacco da loro stessi. Tutto qui.  Un distacco, e nient’altro, dalla loro più profonda capacità di agitarsi tra le catene e le camicie di forza, che questa “vita sociale”, e “collettiva” mal intepretata e grottescamente inerte,  continua ad appiciccarci addosso. Di generazione in generazione. Più passavano gli anni, più numerose si facevano le inevitabili dipartite, le delusioni e le disillusioni; e meno le persone che mi circondavano sembravano fare loro caso. Sempre meno meditazione e agitazione sana,  quando la morte, in una delle sue molteplici laschere, o brutalmente viva,  sfiorava la routine delle loro giornate sempre più uguali. Loro, in questo loro reagire si definivano “adulti”. Loro, definivano le loro, le reazioni mature e assennate di persone assennate. Io, invece, sempre più coglievo la totale mancanza di naturalezza, nelle loro movenze tanto esteriori quanto “interne”…La tortuosa fuga dall’istante e dalla scelta che FA l’esistenza, che il loro “soprassedere”, o fingere di “guardare avanti” e al futuro, e mai semplicemente al “qui e ora”, palesemente oramai ai miei occhi tradiva.Immortalità artificiale.Ho imparato a capirci qualcosa, e contemporaneamente ho preso a realizzare perché non riuscissi semplicemente ad “assorbire”, appunto”guardando avanti”, i lutti di vario tipo, materia e profondità, chi il mio percorso spirituale mi imponeva di attraversare. La buia notte dell’essere, prese ad essere meno minacciosa, quando cominciai a sospettare che tutto avesse a che fare con l’impararci qualcosa di preziosissimo su se stessi, dall’evento della morte. Ciò che ci rende individui, unici e irripetibili, è in altre parole sempre e inevitabilmente interconnesso, con il nostro proprio essere mortali. Il valore della scelta, di una vita auto-diretta, sta proprio nel fatto che è la morte stessa,  a rendere ogni scelta, e quindi l’essere umano stesso che la abbraccia, unica e irripetibile.Immortalità artificiale.Purtroppo per tutti, siamo immersi in un tessuto culturale che da molto, molto tempo, vuole gli esseri umani, completamente in panne o in preda al panico, di fronte alla più minima percezione della loro ineluttabile condizione in qualità di individui. L’uomo deve scappare senza voltarsi indietro, al solo sentire nominare la morte…invece di stare ad ascoltare quello che questa strana signora cerca continuamente di spiegarci su noi stessi. Ma la morte, con buona pace di religioni e pensieri dogmatici vari, è un evento del tutto naturale, e estremamente funzionale alla vita stessa. Sono loro, invece, “loro” le religioni dominanti e i pensieri dogmatici che comunque vanno per la maggiore tutt’oggi, a non avere semmai il benchè minimo rispetto o la più basilare comprensione, nei confronti della NATURA. Tra loro, molti anzi sanno. Ma è più lucrativo fingere di non sapere, per chi intende la vita in termini esclusivi di “dominio”, schiavitù”, e “comando”. La paura, è la prima causa al mondo di “mentalità da greggie”… Morte e vita sono interconnesse e inscindibili in ogni istante di vita individuale. Non può esservi creazione senza distruzione. Non si può costruire, se al contempo, o prima, non si è de-costruito. Ma la società ci insegna, invece, il mito di una certa artificiosa immortalità, che trapela ogni giorno dagli abbaglianti sorrisi dei guru del “pensiero positivo”, come dai lineamenti plastificati di signore e signori, sempre più giovani, sempre più “rifatti” e robotizzati….Così, mentre da una parte l’uomo viene persuaso a fuggire la migliore delle propria consiglieri in materia di spirito, dall’altra ecco accoglierlo a braccia aperte i simulacri di inautenticità della farmacologia, della cosmetica, della chirurgia. Della spietata solitudine, di un “io” immerso, anonimo, in una folla di tutti uguali…I culti ci guadagnano in prestigio, ricchezza e potere, da questo fondamentale fraintendimento esistenziale dell’individuo. Lo stesso dicasi, di tutti i macellai e i prestigiatori, che della non accettazione e dell’auto-fraintendimento individuale, hanno fatto l’oscura tana per il loro parassitario stile di vita. Ma non sono qui per insegnare qualcosa a qualcuno. Scrivo, semplicemente perché amo il confronto, e prima ancora esprimere me stesso per parole dotate di anima e cuore. Sarò felice, se le mie parole sapranno perciò ispirare gli altri. Ma testimonio solamente di me stesso, e attraverso l’unicità della mia esperienza esistenziale.Immortalità artificiale. E allora vi dirò, al riguardo, che di certo io non faccio la fortuna né dei mercanti di morte, né dei mercanti, ancora più artificiosi, di non-morte( la quale è ben diversa, dalla vita vera). Credo che la morte stessa impari con il tempo a portare un grande rispetto, verso i guerrieri spirituali veri. Verso ogni individuo, che cioè abbia fatto, della conoscenza e della scoperta di se stesso, la propria vocazione di vita. Lo stesso, non mi sento però di affermare riguardo a chi si rifiuta tutta la vita di ascoltarne la placida, ma sempre ben distinguibile, voce.Personalmente, non mi attanaglia mai il terrore, quando penso alla morte. Sarà, forse, perché cerco di infondere, a ogni scelta che posso e che  riesco, il marchio a fuoco dell’immortalità; del “come se”. Sarà, che solo da quando mi sono reso conto, che la mia vita, così come ha avuto un inizio, altrettanto inevitabilmente avrà un termine, la mia ESISTENZA è diventata una questione estremamente importante, e squisitamente “egoistica”, per me stesso.  E’ diventata finalmente, cioè, MIA.Sarà, probabilmente, anche che assisto per converso al continuo dissipare, da parte di troppa gente attorno a me, la propria energia in gesti meccanici, in pensieri e scelte di seconda o terza mano ( a volte, di “millesima” mano) . Sarà che li vedo prigionieri strangolati di rassicuranti routine… Immortalità artificiale.Sarà, che non cerco o perseguo, se non di essere unicamente me stesso. Ed essere me stesso, significa continuamente assumersi per differenza,  perciò ad ogni istante morire a qualcosa, a una analogia, a una similitudine che ineluttabilemente contiene un frammento di differenza. E in questo modo a tutto quanto sono stato in precedenza. Muoio e rinasco. E dove arrivo, un giorno lo vedrò.Sarà, in poche parole, che quello che più conta, per me, è che la morte mi trovi vivo. E ben desto. E non, voltato di spalle, sempre intento a scappare, e a scambiare la vita, per una perenne maratona in senso contrario. Non è un vestito, un credo, un atteggiamento o un parola, a far di me quello che sono; non,  a questo punto almeno. E’ il mio, unico e irripetibile, modo di indossarla, tutta questa roba che “manifesta”.Lo stesso, vale naturalmente per tutti quelli che, leggendo queste mie parole, hanno la benché minima idea, di cosa diavolo significhino. E, a proposito di diavolo, demonizzare la morte ( è questo ciò che cui in effetti tutta questa artificialità si riduce ) è a mio avviso il modo migliore di tutti , per far vivere alla gente una vita inautentica. Per anzi far fuggire perennemente l’individuo da se stesso, e farlo correre a gambe levate tra le braccia di una folla di sconosciuti, ugualmente terrorizzati. La “gente”. Ma abbiamo anche un libero arbitrio, dopotutto. Non è forse così?Immortalità artificiale. La morte è un mistero, e una faccenda alquanto privata e assolutamente personale. Si medita da soli, quando ci passa accanto o ci sfiora. “Si” ragiona”, se non siamo almeno  dei completi cretini, sulle domande di capitale importanza, per la propria esistenza. E lo si fa da soli, se si è saggi.E vale, per i misteri, tutto il rigore e l’austerità da assumere di fronte a ciò che è sacro. Ma plastiche e silicone, capelli tinti per uomini e donne, e mille altri artifici religiosi stregoneschi per fuggire dalla propria unicità, che ciò avvenga attraverso la “sottomissione” a poteri frigidi,  per via di quella “consolazione”, che  tanto piace ai deboli, non hanno forse proprio l’effetto di rendere proprio questa vita terrena, l’inferno che si vorrebbe ad ogni costo fuggire? Non è forse meglio, cominciare a prendersi sulle spalle la propria esistenza, la propria irreversibile unicità, irripetibilità? Non è forse meglio, cominciare a rendersi conto dell’enorme potere che hanno, la mente umana, e  la nostra sotto stimata libertà d’arbitrio?Ogni scelta è un po’ morire, per quanti hanno orecchia da intendere. Proprio per la stessa identica ragione, ogni scelta è al contempo potenza creativa  di vita. Mi viene in mente, che la gente che rifugge il pensiero della morte, che corre tra le braccia di qualche credo dogmatico assurdo, o che corre a cercare di taroccare il tempo con altri artifici, che chi fugge il pensiero dell’ineluttabilità, prende progressivamente, con il tempo, a fuggire poi come la peste ogni qualsiasi scelta possa contenere, tra i suoi ingredienti alchemici, un qualsiasi porzione minima di possibilità morte. Ogni tipo di rischio, ogni incertezza, anche mettersi a praticare uno sport nuovo a 40 anni suonati diviene un qualcosa da evitare, per l’uomo chiuso e prigioniero nel cerchio “affatto sacro” del “rassicurante prevedibile”. La sicurezza psicologica, in questo come in infiniti altri casi, va però a discapito della saggezza biologica. Per dirla in altre parole,  “si” estingue progressivamente la linfa vitale, la bellissima sensazione di precarietà entro i cui confini  si vive da protagonisti, a fuggire le piccole dosi quotidiane, di consapevolezza della propria mortalità.Immortalità artificiale.Credo che l’essere umano sia l’unica creatura, per concludere, che può continuare a vivere, biologicamente, anni e addirittura decenni su decenni, dopo aver assassinato la propria anima. La propria preziosa individualità. Il proprio modo unico irripetibile, di riferirsi a “qualcosa di ben definito”, pronunciando il proprio nome. Ammazzano la propria vitalità, e sono in tantissimi, insieme al pensiero della propria inevitabile mortalità.Caste su caste di uomini nell’ombra, ci guadagnano poi da millenni, in termini di potere e controllo, e chissà cos’altro, dalla paura che l’uomo puntualmente subisce, della propria ombra. Ma il mio punto è: “Tutti questi sforzi, tutta questa artificialità, e poi per cosa?” Se non è follia troppo a lungo protratta, questa, allora, di cosa può mai trattarsi? E il fatto che sia condivisa da milioni di persone, non rende questa follia meno folle in se stessa di un’oncia. Semmai, la viralità della sua natura attesta l’diozia dei più, e il puntuale “auto” ed “etero” sabotaggio, generazione dopo generazione, di troppi “cattivi maestri”…   Mi viene in mente un passaggio, da un libro di Carlos Castaneda ( Non la più preziosa delle fonti verso quali mi sento debitore: ma comunque, spesso, una buona lettura. Divertente). A un protagonista puntualmente sbalzato, tra  l’inefficente uso del proprio passato, e la minaccia PERTANTO incombente del proprio futuro, il solito imperturbabile, ma malizioso Don Juan, a un tratto rispose una cosa del tipo: ” Non ti preoccupare mai della morte. Si tratta di un evento che procura dolore, solo se avviene in un letto, per malattia. Quando si è impegnati a combattere per la propria vita, se la morte sopraggiunge, l’unica cosa che si prova, è ESULTANZA”.Più o meno, mi pare recitasse così…E mi pare una posizione pienamente spirituale, oltre che condivisibile.Un abbraccio controcorrente

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