Impegno civile, non sottomissione all’aristocrazia

"Dante preferiva gli aristocratici, quelli che vivono di rendita in un mondo immobile, dove nulla cambia mai". E' la provocazione lanciata ieri in un programma di Radiotre, durante una brillante conversazione sulla "Commedia". E' il 750° anniversario della nascita fra sei anni, nel 2021, ricorrerà l'800° dalla morte di uno dei protagonisti migliori della storia dell'umanità e le lodi si sprecheranno, a scopi commerciali. S'impone quindi, contro l'imperialismo cosmico del marketing, tutt'altro metodo: la contrapposizione (Auseinandersetzung).

L'impegno civile e politico risplende di luce propria nelle tre cantiche, in modo tale da non poter esser ridotto alla nostalgia di Dante per la Firenze dell'era precedente all'irruzione della "gente nova" e dei "subiti guadagni". Cambiava la composizione sociale come l'economia e il poeta non amava alcune caratteristiche del nuovo ceto, rafforzato dallo sviluppo del commercio, che ormai poteva lottare per il potere: restava invece legato all'aristocrazia, non al punto però da giustificarla comunque.

Se Farinata degli Uberti, per il suo "ben far" una figura positiva, i nobili romagnoli ed emiliani che diventano tiranni non lo sono per niente: il paesaggio politico emiliano romagnolo è desolante e la condanna della tirannia dai peggiori caratteri feudali è inequivocabile. Civismo, impegno morale ma anche lucida azione politica e bellica: le virtù della Roma repubblicana, meglio ancora la virtù civili, formano una costellazione che guida il viaggio di Dante, che preesistono al poeta e gli sopravvivono. Le opere di volpe, più di che di leone, compiute da Guido da Montefeltro (la volpe e il leone, due emblemi delle qualità del Principe), sono guidate da un sapere autonomo. La persona (Guido da Montefeltro) si trova fra i dannati per altre colpe: la sua abilità nell'arte della guerra invece riluce.

La Commedia è un veicolo delle virtù civili, che continuerà ad attraversare la storia.

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