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Impiegato svela i reati commessi dalle banche. Licenziato

Creato il 24 novembre 2013 da Nino Caliendo

L’onestà prima di tutto. Anche del proprio posto di lavoro a tempo indeterminato. A Parma c’è un giovane ragazzo che ormai può essere considerato il paladino contro le storture del sistema bancario. Ha fatto scoppiare il caso della falla informatica che permetteva di occultare valuta estera. Dopo essere stato licenziato è stato assunto come apprendista nella filiale di un altro istituto. Ma anche qui si è imbattuto in una realtà sconvolgente: sostiene di essere stato testimone di numerosi illeciti. Per denunciarli ha messo a repentaglio per la seconda volta il suo avvenire lavorativo.

GRAVI REATI - Enrico Ceci ha 26 anni. Era stato assunto nella filiale di Parma da una banca che ha la sede centrale a Cesena. «Sono stato utilizzato fin da subito come cassiere. Dopo avere inutilmente informato i manager a proposito degli illeciti che venivano commessi nella filiale di Parma, ho attivato una procedura di escalation. In poche parole, ho informato per iscritto il vertice aziendale (presidente, vice-presidente, direttore generale, vice direttore generale, capo del personale, capo sezione affari legali e contenziosi) nonché i tre membri del collegio sindacale. In data 3 marzo 2011, alla presenza di due miei procuratori, ho incontrato tre dei sei dirigenti apicali della banca informandoli nuovamente della grave situazione in cui versava la filiale di Parma. Le mie azioni non hanno prodotto alcun risultato così mi sono trovato costretto a presentare – in data 26 gennaio 2011 – una denuncia penale alla procura di Parma. Ad un certo punto, a seguito dell’ astensione del procuratore capo di Parma, l’indagine è passata in gestione alla procura di Ancona dove sono stati aperti vari fascicoli per riciclaggio, diffamazione, usura, vendita di prodotti industriali con segni mendaci, maltrattamenti in famiglia. L’indagine è stata spezzettata: ritengo che questo modo di agire abbia favorito e favorisca esclusivamente la banca e non certo il perseguimento della giustizia».

MOBBING E LICENZIAMENTO - La reazione dell’istituto bancario alla denuncia si sprigiona ben presto portando all’allontanamento di Enrico: «Prima è stato creato un clima ostile nei miei confronti. Sono stato messo in difficoltà soprattutto con i colleghi di filiale che mi hanno percepito come una vera e propria minaccia. Sono stato attaccato, insultato ed offeso. Hanno tentato in tutti i modi di farmi compiere degli errori. Poi mi hanno tenuto lontano dalla filiale di Parma prendendosi tutto il tempo necessario per costruire a tavolino le false contestazioni da utilizzare per il licenziamento. In data 18 maggio 2011 ho ricevuto la raccomandata della banca che mi comminava il primo licenziamento. Mi hanno attribuito manchevolezze in realtà inesistenti. Sono riuscito a dimostrare la falsità di tutto quanto contestato dalla banca solo perché – allo scopo di tutelarmi e documentare i reati – ad un certo punto ho cominciato a registrare fonograficamente quello che accadeva durante le mie giornate lavorative in filiale. Il tribunale di Parma, con provvedimento del 27 gennaio 2012, ha dichiarato – a seguito del mio ricorso cautelare – l’illegittimità del primo licenziamento intimato. Tale provvedimento di illegittimità del licenziamento è stato poi confermato dallo stesso tribunale, in sede di reclamo, in data 1 marzo 2012».

DI NUOVO FUORI - Enrico torna dunque al lavoro e tutto sembra risolto. È solo un’illusione, siamo solo alla vigilia di un altro licenziamento. «Sono stato messo in un ufficio da solo, separato fisicamente dagli altri colleghi e dai clienti attraverso una porta che veniva continuamente chiusa. Mi sono ritrovato scollegato dalla totalità dei sistemi informatici aziendali, eccezion fatta per alcune funzionalità strettamente necessarie al fine di svolgere alcuni corsi di autoformazione. La cosa veramente incredibile è che mi hanno licenziato – in data 3 aprile 2012 – a causa di un’intervista che avevo rilasciato ad un settimanale di Parma il 31 maggio 2011, quando non ero più dipendente della banca da due settimane (ero stato infatti licenziato tredici giorni prima). A causa di tale intervista, in cui mi sono semplicemente limitato a riportare fatti appresi dal procuratore capo di Parma, sono stato anche denunciato penalmente per violazione del segreto istruttorio. Accusa dalla quale sono stato prosciolto dal giudice per le udienze preliminari di Ancona perché il fatto non sussiste. Non si è francamente mai visto in Europa una banca od una azienda che licenzia un lavoratore contestandogli disciplinarmente un episodio – peraltro penalmente non rilevante – avvenuto quando non era più dipendente».

GIUDICE “FAI DA TE” - Anche sulla tempistica del secondo licenziamento c’è qualcosa di anomalo. L’istituto bancario infatti presenta due ricorsi al tribunale di Forlì il 2 aprile 2012, ossia il giorno precedente alla notifica ad Enrico del provvedimento. L’obiettivo è far dichiarare la legittimità del licenziamento da un giudice diverso rispetto a quello che aveva dato ragione al dipendente: non più Parma, sede della filiale dove si sono svolti i fatti, ma Forlì provincia dove l’istituto ha la sede principale. «Il licenziamento, mi preme ricordarlo, è un atto recettizio: produce i propri effetti giuridici dal momento in cui il lavoratore ne è stato formalmente informato. Quindi, alla data del 2 aprile 2012, è palese come la banca fosse priva di interesse e/o legittimazione ad agire. Inoltre il giudice di Forlì, che non è nemmeno specializzato in diritto del lavoro, si è dichiarato competente con una palese violazione del principio costituzionale del giudice naturale. Il giudice deve essere precostituito per legge e non dalla banca. Il giudice di Forlì, con la sua ordinanza dell’ottobre scorso, ha affermato di fatto l’esistenza di un nuovo principio: d’ora in poi, quando un datore di lavoro deciderà di comminare un qualsivoglia provvedimento sanzionatorio nei confronti di un proprio dipendente, il giorno prima di consegnarlo al lavoratore l’azienda o la banca di turno potrà depositare nel Tribunale della propria sede legale un accertamento di legittimità su quel provvedimento, predeterminando così – in modo del tutto arbitrario – il foro dove si andrà a discutere la causa di lavoro. È come se la Fiat, tanto per fare un esempio, sapendo di voler licenziare un operaio di Termini Imerese predeterminasse in anticipo il Foro di Torino per la discussione della causa di lavoro, costringendo tale lavoratore a spostamenti di 900 chilometri (solo andata). Il vero problema, purtroppo, è costituito dai magistrati: non mi fido né della procura di Ancona, né del tribunale di Forlì. La magistratura in Italia – e non sono certo io a sostenerlo per primo – non tratta allo stesso modo il comune cittadino e la banca. Porterò dunque il mio caso a Strasburgo».

Articolo di Fabio Frabetti

Da: Affaritaliani.it

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