Vivere a contatto con l’imperfezione ci è affine più di quanto immaginiamo. Non parlo di un naso storto, di una distrazione, di una nota sbagliata o cose simili. Penso piuttosto alla natura stessa del nostro esistere, alla capacità che abbiamo di smettere d’amare, alla consapevolezza della nostra fine, alla nostra capacità di dimenticare cose prodigiose come, ad esempio, la nostra infanzia. Forse, alla fine, noi siamo imperfetti non nella mente ma nel cuore dato che sappiamo costruire sistemi filosofici o matematici assoluti, potenti e levigati ma non riusciamo neppure a contemplare per un solo secondo l’esistenza di un sentimento perfetto. Semplicemente non ne conosciamo la forma. Tutto ciò che è imperfetto in realtà ci aiuta tantissimo nella nostra spinta vitale ovvero nella lotta contro la nostra delusione verso il mondo: in questo modo il campo risulta sgombero da una ideale ricerca di felicità, pienezza o compimento che in realtà possiamo trovare in Dio soltanto o simili dimensioni metafisiche. E se è vero che non si possono trovare difetti alla spinta alla sopravvivenza, io riesco a sentire come l’imperfezione e l’imprecisione siano qualità meravigliose, ed esse mi stanno molto a cuore nella misura in cui è molto meglio essere ridicoli che noiosi e sterili.
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