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Rispondere è complicato e per di più di un motivo. Primo perché lanciarsi in un giudizio appena arrivati, con ancora il visto in mano, può essere fuorviante, ingiusto e non del tutto veritiero. Un po' come se ci mettessimo a bollare con questo o quell'aggettivo una persona che conosciamo da cinque minuti.secondo perché io ho scelto di iniziare il mio viaggio in Laos subito in modo difficile.
Le opzioni sono due. Il modo più classico per chi arriva via terra dalla Thailandia e punta al Laos è quello di prendere la barca (una slow boat) che in un due giorni di navigazione lungo il Mekong e con una notte a Pak Beng, porta fino a Luang Prabang (o meglio un po' prima perché è stata costruita una diga, la cui presenza impedisce alle barche di fare l'intero percorso come prima).Io ho scelto l'opzione alternativa (e più avventurosa): ho preso un autobus che in quattro ore mi ha portata dritta a Luang Namtha, una delle provincie più settentrionali del Laos famosa per le sue opportunità di trekking. Per alcuni giorni ho fatto base tra Luang Namtha e Muang Sing, una minuscola e impolverata cittadina quasi al confine con la Cina, per dedicarmi al trekking nei villaggi delle minoranze etniche.
Se fossi approdata direttamente a Luang Prabang, la città laotiana più amata dai turisti, dal clima mite e dall'atmosfera romantica e sognante, probabilmente il mio approccio con il Laos sarebbe stato più soft. Invece ho scelto la via più "wild" e ne ero consapevole, però non fino in fondo. O quantomeno non mi aspettavo un contesto così rude e forte. Arrivare in Laos dopo averlo a lungo sognato (e forse mitizzato) e trovarsi catapultati a Muang Sing, unici 3 turisti in tutta la cittadina, tra strade impolverate, oche e maiali che razzolano felicemente con i bambini, guesthouse chiuse e una pesante contaminazione cinese (ideogrammi cinesi sono dappertutto, cinesi sono la maggior parte delle guesthouse e dei ristoranti, in cui non è però detto che mangi: a me è stato negato perché la cuoca era "occupata") è stato disarmante. Appena arrivata avevo già voglia di scappare via. Per tornare a Luang Namtha, altra landa desolata, da cui ripartire ancora. Insomma, non ero quello che mi aspettavo.
Qui entra in campo un altro fattore assai problematico e ingannevole: le aspettative. Uno si ripete sempre che è meglio partire senza, onde evitare delusioni, ma poi inevitabilmente radicano in noi senza che neanche ce ne accorgessimo. A volte ci si lascia mettere in trappola. Colpa di quello che leggiamo, le fotografie o le immagini che vediamo in tv, e soprattutto quello che leggiamo nelle guide, che spesso calcano un po' troppo la mano nell'uso degli aggettivi.
Aggiungi poi che in questo periodo dell'anno nel nord del Laos la notte e la mattina fa freddo (e la nebbia resta incollata al cielo fino a metà mattinata) e che io non tollero il freddo.. ecco, i miei primi giorni in Laos non sono stati facili (unito al fatto che ero reduce da un mese in Thailandia, in cui viaggiare è semplicissimo).
Insomma, mi sono lasciata scappare la parola delusione sulla pagina Facebook del blog in riferimento a queste impressioni generali e ai laotiani, che per ora non si sono mostrati molto friendly o propensi al sorriso come qualcuno mi aveva portato a credere. E qualcuno mi ha bacchettato per questo e giustamente. Sapete cosa vi dico? Avete fatto bene a bacchettarmi. Non c'è scritto da nessuna parte che le persone debbano comportarsi tutte allo stesso modo o che debbano tutte accoglierci con un sorriso a 44 denti stampato in faccia. Sarebbe bello se fosse così, ma magari se lo fosse non sarebbe sincero.
Certo, trovarsi a viaggiare in un paese in cui la gente è cordiale e gentile, è la ciliegina sulla torta; se non accade pazienza.
Io mi sono lasciata trascinare da quello che ho letto e sentito finora sul Laos (in pole position la Lonely Planet, che del Laos ha una versione vecchissime che richiede aggiornamento urgente delle informazioni ma anche degli aggettivi usati!) e l'ho mitizzato. Questo penso sia una cosa sbagliata da fare.Ho mitizzato la gente, mitizzato il paese, la sua storia, i suoi paesaggi.
Dall'altro mi rieccheggia ancora in testa l'aggettivo usato da Natalia, una ragazza italiana che ho conosciuto a Bangkok, dove vive: "sopravvalutato".
Ma in fondo mi dico che è ancora presto per dire che Natalia aveva ragione.
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