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Impressioni di settembre

Creato il 04 settembre 2015 da Cicciorusso

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Secondo l’ancestrale tradizione barbaricina, il cabidannu non si festeggerebbe il primo di gennaio bensì il primo di settembre, il mese nel quale, come spiega Giuseppe Dessì in “Paese d’ombre”, accadono le cose importanti. Da una prospettiva metallica, nel 2015, ciò significa soprattutto Slayer e Iron Maiden. In una manciata di settimane piuttosto fitte (sono usciti o usciranno, tra gli altri, Motörhead, Pentagram, Uncle Acid & The Deadbeats, Stratovarius, Malevolent Creation, My Dying Bride, Ghost e Amorphis), a catalizzare l’attenzione saranno due dischi che non potrò fare a meno di ascoltare per quanto non ne abbia una voglia irresistibile. Per quanto riguarda Repentless, non nutro alcuna aspettativa e immagino che il 99% di chi ha ascoltato When the stillness comes mi capisca. Un paio di giorni fa è uscito un altro pezzo, Cast the first stone, che finora è il meno peggio tra quelli anticipati. Sembra uno scarto di Diabolus in Musica ma resta il meno peggio.

Attendo con uno scetticismo più benevolo i Maiden. Il singolo Speed of light mi aveva pure preso bene, tuttavia è impossibile scacciare il timore che The Book of Souls regga qualche giorno per poi essere accantonato per sempre, come è avvenuto con A Matter of Life and Death e The Final Frontier. Da una parte il maggior contributo compositivo di Smith e Dickinson che emerge dai crediti può alimentare qualche flebile speranza, dall’altra la durata dei pezzi non promette proprio benissimo. Sappiamo cosa combinano i Maiden quando si lasciano prendere la manina. Io, Charles e Roberto, durante i nostri trucidi simposi alcolici, siamo soliti da diverse settimane intonare il ritornello della title-track. Ovviamente non l’abbiamo ancora ascoltata ma ci piace immaginare che il ritornello faccia THE BOOK OF SOOOOOOULS/ THE BOOK OF SOOOULS WHOWHOWHOWHOOO. Per quaranta volte consecutive. Ad ogni modo, The Book of Souls è uscito proprio stamane su Spotify. Vi faremo sapere.

Lemmy non si è ripreso. Un paio di anni fa gli hanno messo un defibrillatore per risolvere un’aritmia cardiaca. L’anno scorso era stato costretto a interrompere alcuni show (tra cui il Wacken) perché non ce la faceva. Il tour era stato interrotto a giugno per un ematoma. Ha smesso di fumare dopo 57 anni di tabagismo e sarebbe passato dal Jack&Cola al vino o alla vodka con aranciata. “Ho dovuto imparare a cavarmela con meno, l’alternativa sarebbe stata la morte“, ha spiegato.

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Ora è uscito Bad Magic e i Motorhead lo stanno portando in tour negli Stati Uniti. I problemi sono iniziati la settimana scorsa a Salt Lake City, quando il frontman ha dovuto fermarsi dopo pochi pezzi per difficoltà respiratorie. La successiva data a Denver non sono saliti nemmeno sul palco. Lemmy uscì comunque per scusarsi con i fan e spiegare loro che non stava bene. Due giorni fa, ad Austin, al quarto pezzo, Metropolis, Lemmy si è fermato e ha detto di non farcela. “I can’t do it”. C’è il video su internet in giro. A me non è venuto manco di vederlo. Spero che torni a casa e si riposi, che torni in forma, per quel che è possibile, e capisca se è il caso di prendersi una pausa o meno. A dicembre compirà settant’anni. Il disco, in generale, è più cupo e meno cattivo di Aftershock (attenzione, sto questionando per la seconda volta di differenze tra dischi dei Motorhead). Ovviamente lo sto ascoltando a ripetizione. Su Fire Storm Hotel e The Devil ti ritrovi a fare headbanging davanti al pc senza rendertene conto. Anche la cover di Sympathy for the devil è fantastica. E c’è un pezzo, il più lento e riflessivo, che si chiama Till the end.

A suscitare le maggiori emozioni resta il filone della “musica per drogati”, dal quale continua a venir fuori talmente tanta bella roba che fatichiamo a starci dietro, anche perché, dopo un po’, diventa complicato scrivere qualcosa di intelligente e creativo su album basati grossomodo sempre sullo stesso riff, con lo scrupolo di evitare un eccessivo utilizzo di aggettivi come “desertico”, “pachidermico” e “lisergico”. Nei mesi scorsi sono usciti parecchi dischi meritevoli che non abbiamo sciaguratamente approfondito: dagli Acid King ai The Sword, dai Minsk ai Goatsnake, per tacere delle produzioni più underground. E, mentre scrivo, sto allegramente palleggiando i miei timpani tra i nuovi Windhand, Acid Witch e Ahab. Uncle Acid e Clutch (li avete sentiti i singoli?) sono in playlist quasi a prescindere. E chissà che non si ripiglino pure i Kylesa… È quindi nel segno del narcosatanismo che vi auguriamo un felice cabidannu. Statemi sani ma non troppo.

E stammi bene pure tu, Lemmy, che diavolo.

“Fino alla fine”. E a un certo punto la fine arriva per tutti (Ciccio Russo).

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