No, guardi, mi dispiace di doverglielo ripetere, ma non è questo il colore giusto. Rivolse queste parole alla commessa del negozio, davvero mortificato d'aver dovuto farle tirar fuori tutti quei gatti di pelouche, da quello piccolo, impiccato ad un portachiavi, a quello più grande, abbracciato al quale un bambino avrebbe potuto dormirci più comodo e più largo che non in un normale lettino. Davvero mortificato, davvero, ma non ne avrebbe, diciamo... di quel colore? Ed indicò un tratto di moquette originariamente beige ed ormai logora, sporca e spelacchiata. Poi, però, pensò, d'altra parte, forse, il colore non era neppure quello. E s'arrabbiò con sé stesso per non aver mai osservato con sufficiente attenzione Mukil. Chissà il perché. Non ci si era mai affezionato, ma senza cattiveria, semplicemente non c'aveva mai pensato, di potercisi affezionare. Che poi, per dirla tutta, era pure un buon gatto, era paziente ed amorevole, e soprattutto grazie a lui i bambini passavano il tempo a giocare con un animale invece che ad abbattersi davanti alla televisione. Insomma, un peccato, forse, non essercisi affezionati, però che bello, ora, che gran vantaggio, poterlo pensare morto senza dover versare lacrime.Senza fretta, stavolta, e senza riprendere la macchina, s'incamminò verso un secondo negozio di giocattoli. Anche lì la stessa storia. Di tutti i colori ce n'erano, meno di quello che gli serviva. Tutti quei colori, insieme, forse, avrebbero creato una tinta simile a quella di Mukil, quel vecchio bastardo. Nel terzo negozio non entrò. Guardò, semplicemente, dalla vetrina e si convinse che non valeva la pena neppure di tentare, al solo scopo, poi, di perdere e far perdere altro tempo.Determinato, alla commessa del primo negozio dove era tornato: Senta... senta, mi dia quel gatto, quello grosso, quello là, ha capito... E la commessa: Oh, ci ha ripensato, credevo fosse troppo grande e che il colore non andasse affatto bene, e lui: Guardi, per ottenere il colore giusto bisognerebbe fare accoppiare tutti i gatti di pelouche che ho visto stamattina, per quattro o cinque generazioni, e poi, finalmente, forse, un esemplare per cucciolata potrebbe sembrare qualcosa di simile a quello che cerco.Seduta sul bordo del letto, lei, godeva quieta della luce soffusa attraverso le candide tende. Le rammentò che la domenica successiva sarebbe stata la domenica In Albis, che in famiglia era tradizione celebrare con un pic-nic. Le apparve un'immagine di quando era piccola, sul sagrato, quand'era stato il suo turno, o quello dei suoi fratellini, con tutti quei bambini vestiti di bianco, davanti a quella chiesa, in mezzo ai campi. Da lontano sembravano tanti fazzolettini svolazzanti. Tante bandierine issate in una generale, gioiosa ressa. Ma lì, davanti a quella chiesa, il giorno che preferiva era quello di Sant'Antonio, quando si portavano gli animali alla benedizione. E lei, con i suoi fratelli, portavano tutti, tutti gli animali, dal primo all'ultimo, dai gatti ai tacchini ai conigli e quella volta che lei portò le uova ed il parroco sostenne che non poteva benedirle perché non erano esseri compiuti. Ed i feti, allora? I feti ricevono prestissimo l'anima, rispose il parroco, gli animali, anche da adulti, mai. L'avessi avuta tu, prete, un quarto dell'anima che aveva Mukil, avresti benedetto pure un disegno delle uova, pensò. Tutto questo Loro riflettere sulle cose del cielo, sulle cose, tutto questo riflettere è solo il tradimento dell'anima. Non aveva più animali, ora, ed in città non aveva certo lo stesso sapore, ma ancora sperava, un giorno di poter tornare a partecipare alla festa di Sant'Antonio. Pensò alla lingua del santo. Forse era, però, di un altro santantonio, di certo non avevano una lingua in comune. Riflettè sul fatto che la lingua del santo benché così venerata, non fosse altro che una parte, nulla di compiuto, no. Non si poteva benedire. Anzi. Invece, no: compiutamente una lingua. Una lingua che magari può ancora sentire il sapore del cibo, la freschezza dell'acqua, priva però di un cervello a cui poterlo comunicare, ma pienamente consapevole, in sé, di ciò che le sta accadendo. Come un animale senz'anima. D'accarezzare la lingua delle amanti che adesso sono compiutamente solo lingue, niente amanti, d'intrecciarsi senza bocche ad ospitarle, di godere quel gioco senza più filtri o emozioni.
Niente vasi, i varchi ostruiti dalla rovina del tempo





