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“Avevo bisogno di fuggire dagli stessi temi, le stesse situazioni, dalle storie che tutti si aspettano di sentire da me. Dovevo sfuggire a quella gabbia dorata che, vincendo all’inizio della mia carriera un premio tanto importante, si era piano piano costruita intorno a me”.A parlare è Jhumpa Lahiri, premio Pulitzer 2000, che ha presentato il suo nuovo lavoro In altre parole, durante il festival Writers - gli scrittori si raccontano, ai Frigoriferi Milanesi.La Lahiri, in Italia dal 2009, nel suo ultimo lavoro ci racconta di una grande storia d’amore, quella con la lingua italiana, che l’ha stregata a tal punto da portarla prima a impararla, poi a trasferirsi a Roma, poi a scrivere in italiano.Scrivere in italiano, per la Lahiri, non è solo un eccentrico vezzo da artista, ma nasce da un vero e proprio bisogno, quello di mettersi in gioco, di superare i propri limiti e di fuggire da un successo che, se non preso a piccole dosi, alla lunga potrebbe diventare sinonimo di fallimento.Attraverso racconti e piccoli articoli, già apparsi su Internazionale, e raccolti poi da Guanda, la Lahiri ci racconta una storia fatta di piccole conquiste e grandi perdite, di suoni che sfuggono e altri che non riescono a lasciarla andare.Il cambio di lingua, comporta un cambio di stile. Le nuove sonorità, così diverse dall’inglese che l’ha resa celebre e stranamente vicine a quel bengalese che dovrebbe rappresentare la sua lingua madre, hanno aiutato l’autrice di L’omonimo a liberarsi degli schemi e gli stereotipi che la sua stessa scrittura le aveva cucito addosso.Una nuova libertà creativa, una vera e propria rinascita. Una lingua che non è più posseduta e padroneggiata, ma amata, scoperta e vissuta.Una grande autrice che si mette in gioco, che ritrova la gioia e il senso della sua scrittura in una lingua a lei estranea, a volte criptica, ma che ha la capacità di sussurrarle, attraverso la sua melodiosa musicalità, fin nel profondo del suo animo.Alla prossimaDiana
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