L’elezione di Bill De Blasio a sindaco di New York ha avuto un grande risalto nel nostro Paese, non fosse altro perché il neo primo cittadino della Grande Mela vanta origini campane. Il vero elemento su cui riflettere, che ci offre un’idea su come gli Usa stiano cambiando, è invece un altro, e per inquadrarlo occorre dare uno sguardo anche alle due altre concomitanti elezioni in New Jersey e Virginia.
Secondo Enrico Beltramini su Limes:
I risultati delle elezioni parziali di ieri a New York, New Jersey (NJ) e Virginia rappresentano un rompicapo per gli analisti. Hanno vinto i democratici (Terry McAuliffe e Bill De Blasio) e i repubblicani (Chris Christie), i radicali (De Blasio) e i moderati (McAuliffe e Christie), gli outsider (De Blasio) e gli incumbent (Christie): è difficile trovare un filo rosso che leghi tra loro eventi così diversi e tra loro distanti.
Il dato politico di questi tre eventi elettorali mostrano un’America (o almeno una sua parte) preoccupata del crescente problema della diseguaglianza socioeconomica. Linkiesta approfondisce questo aspetto, mettendo a confronto i rispettivi contesti in cui queste elezioni hanno avuto luogo:
Il più significativo dei tre eventi elettorali è forse la vittoria a New York del 52 enne De Blasio con il 68 per cento delle preferenze e un margine di quasi quaranta punti sul suo avversario repubblicano Joseph J. Lhota la cui piattaforma elettorale si è basata su un messaggio di continuità pro-business con il predecessore Michael Bloomberg.
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Sotto Bloomberg i livelli di diseguaglianza tra i cittadini più abbienti e quelli più poveri sono cresciuti di diversi punti percentuali e il numero di residenti in città sotto la soglia di povertà, secondo gli ultimi dati del censimento del 2012, è salito a 21.2 rispetto al 20.1 per cento di due anni prima portando il totale di persone sotto la soglia di povertà a 1.7 milioni. Non a caso De Blasio si è inserito nella corsa elettorale con il titolo del libro di Dickens A Tale of Two Cities (“Racconto di Due Città”). Queste sono la “New York reale” e “la New York della Finanza”. Mentre la seconda non ha bisogno di molte spiegazioni, la prima è la città dove il reddito medio delle famiglie è sceso dai $54,695 nel 2008 ai $50,895 attuali, dove il 14 per cento delle persone non ha copertura sanitaria, il 50 per cento di chi ha una casa spende il 30 per cento circa del proprio reddito su mutuo o affitto e il 21 per cento delle persone non arriverebbe a fine mese se non fosse per i food stamps, aiuti del governo che permettono di comprare beni di prima necessità.
Questa narrativa deve molto a quella di Occupy Wall Street e il suo slogan di un 99% opposto all’1%; e non a caso De Blasio ha difeso il movimento in diverse occasione e condivide alcuni suoi elementi di fondo: lotta alla crescente diseguaglianza e un incremento delle tassazione per chi guadagna di più, in questo caso per tutti coloro il cui reddito è superiore ai 500 mila dollari.
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Appena al di là del fiume Hudson [New Jersey, n.d.a.] ha vinto invece Chris Christie, un personaggio del tutto diverso da De Blasio, ma pur sempre importante per captare l’umore dell’America di oggi. Il suo stampo politico pragmatico al di là delle narrazioni ideologiche ha attratto una base elettorale aliena al partito repubblicano di oggi: afro-americani, giovani, membri delle minoranza e donne.
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Il successo di Christie (le percentuali finali sono state di 60 a 39) deriva in parte dalla sua gestione durante la crisi dell’urgano Sandy. In un momento in cui il partito repubblicano – guidato più dall’odio verso il Presidente che da una visione di lungo periodo – rifiutava qualsiasi compromesso sul debito, Christie si è lanciato anima e corpo nell’aiutare il titolare della Casa Bianca ed ha elogiato più volte il suo managment della crisi Sandy. Atteggiamento simile Christie lo ha mantenuto durante la battaglia sullo shutdown. In quei giorni il governatore ha duramente criticato il suo partito e definito «come un assoluto disastro» il risultato ottenuto con la strategia di ostruzionismo ad ogni costo.
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Nelle stesse ore, appena più a sud, in Virginia, uno degli swing state più importanti, il candidato dei repubblicani Ken Cuccinelli ha perso di due punti percentuali contro il candidato dem Terry McAuliffe il cui messaggio elettorale è stato fortemente a favore del matrimonio gay, dell’aborto e della restrizioni sul possesso di armi da fuoco. Ma ciò che ha sorpreso di più numerosi osservatori è il cambiamento di uno stato il cui voto pende spesso in favore dei repubblicani e che il Gop pensava di poter conquistare con Cucinelli, politico vicino al Tea Party il cui principale messaggio elettorale è stato contro l’aborto, contro il matrimonio gay e a sostengo di Ted Cruz, il senatore del Texas responsabile dello shutdown dello scorso mese. Non solo. Cucinelli, il primo procuratore a contestare per vie legali Obamacare, ha improntato la sua narrazione elettorale sulla promessa di non far approvare la riforma della sanità del presidente nello stato, un messaggio che secondo i primi exit-poll ha poco interessato gli elettori e dovrebbe dunque far riflettere i repubblicani non solo in Virginia ma anche nel resto degli Stati Uniti.
Dalle urne è così emersa la realtà di un Paese stanco della retorica, delle contrapposizioni meramente ideologiche e delle estenuanti divisioni che non più tardi di un mese fa avevano portato allo shutdown del governo federale. Accantonata la logica degli schieramenti, il filo conduttore delle tre elezioni in esame è il desiderio di maggiore equità sociale. Aspetto su cui i due opposti partiti, ma in particolar modo quello repubblicano, dovranno riflettere in vista delle elezioni di midterm del prossimo anno.