La parata militare del 2 giugno sancirà una scelta di campo: o col popolo, o con la casta. I governanti sono avvisati.
Basta parole, proclami, titoli accademici sciorinati sotto il naso di chicchessia per giustificare l’insieme di provvedimenti impopolari adottati nell’esercizio delle funzioni di governo. Serve un segnale forte, inequivocabile di vicinanza al popolo italiano che soffre per le ferite indelebili di un cataclisma, che ha raso al suolo buona parte dell’area produttiva più ricca d’Italia.
E’ proprio l‘anno dei Monti che creano disastri: uno è presidente del consiglio e pensa di poter gestire la natura abolendo il fondo per le calamità con un decreto di riforma della Protezione Civile. Gli altri monti sono quelli degli Appennini, che per effetto dello scontro tra placca africana ed europea, si sollevano sensibilmente dando luogo a terremoti di particolare intensità.
Forse il Professore non era consapevole del fatto che la natura non risponde alle regole computistiche del suo ministero. Chiese distrutte, capannoni squartati, profonde faglie nei terreni agricoli, centinaia di scosse di assestamento e nuovi cataclismi, in una escalation di distruzione che non sembra aver fine.
Ma l’importante è dare un segno di coesione, facendo sfilare i nostri corpi scelti, le nostre forze armate. Non importa se i civili, a pochi km di distanza, patiscono le pene dell’inferno: gli spettacoli degni dei tempi in cui il SED dettava legge a Berlino, non sono poi tanto diversi da quelli in cui SuperMario le spara a riordinare Bank-o-landia.
Il primato dell’economia è una verità assoluta, da affermare persino sul buonsenso: è l’effetto di quell’assurdo decreto legge, che dispone la cancellazione di quella che una volta era l’unica speranza di ricostruzione per le popolazioni colpite da calamità. Ma oltre ai danni, è proprio il caso di dirlo, c’è una bella beffa che sta per consumarsi in nome di una repubblica in cui sono davvero pochi a credere.
Da più parti si chiede un gesto di responsabilità che cancelli le manifestazioni in occasione del 2 giugno, in particolare la parata militare che annualmente si svolge per ricordare l’esito del referendum istituzionale conclusosi con la vittoria del fronte repubblicano ai danni di quello monarchico. Sarebbe più opportuno destinare le somme di denaro per l’organizzazione della parata ai soccorsi e alla promozione per la ricostruzione in Emilia Romagna,non servono mica lauree alla Bocconi per comprenderlo.
Non soldatini agghindati in alta uniforme e mezzi anfibi che sfilano onorando il tricolore: se si vuole onorare la bandiera, l’unico luogo in cui dovrebbero trovarsi i nostri soldati è quello colpito dal sisma, per unirsi ai soccorsi in maniera permanente e prestare aiuto e conforto a chi ha perso tutto per colpa della natura matrigna.
La prova più dura del governo bank-o-kratico è appena iniziata. L’unico asso nella manica di Mario Monti è quello di dimostrarsi vicino alle stesse vittime del suo vampirismo fiscale e rimandare di qualche anno l’obiettivo del pareggio di bilancio: d’altronde, quanto pensa di poter incassare di IMU in Emilia Romagna quel furbacchione di un supplentello bocconiano?
Da più parti si auspica una presa di coscienza della gravità del momento che il paese sta attraversando, che coincida con l’abbandono dell’assurda idea di un festeggiamento superfluo in momenti di dolore ed austerità.
Ma il timore è che anche questo appello, che è anche un grido d’aiuto, rimanga inascoltato.
Ed intanto in Emilia si piangono i morti e si spalano macerie, nella speranza di trovare qualche sopravvissuto.