In biblioteca con Lele Mora

Creato il 28 settembre 2010 da Danielevecchiotti @danivecchiotti

foto: web

Ok… lo scenario cultural-social-politico-economico – e, di conseguenza, mediatico - in Italia è andato oltre la soglia del deprimente e dell’apocalittico. D’accordo… mentre il tempo scorre siamo sempre più incaproniti, assuefatti alla tivù, poveri di portafoglio e di spirito, ignoranti e superficiali.
Ma non è detto che anche durante i peggiori terremoti non si possa costruire qualcosa. E, in ogni caso, preservare nei propri tentativi sebbene si sappia che sono del tutto inutili è già un ottimo modo per sentirsi vivi.
Così, mentre ieri le agenzie di stampa battevano la notizia delle ingenti somme di denaro sporco che Lele Mora ha speso per amore di Fabrizio Corona, io ho pensato che, tutto sommato, anche da questa storia - squallida al punto di apparire ridicola e talmente comica da risultare deprimente - si possano trarre spunti per spronare le persone ad alzarsi e riprendere il cammino verso qualcosa di migliore.
Fantasticavo di essere un insegnante di lettere (un sogno precario, inutile dirlo) o il curatore di qualche rubrica televisiva rosa del pomeriggio, e di cogliere l’occasione delle cronache sul troismo da tronismo per tirar fuori, anziché gli aspetti pruriginosi della questione e i commenti dei soliti opinionisti analfabeti, due grandi capolavori della letteratura legati per affinità elettive all’affaire Corona.
Il primo è ovviamente “La morte a Venezia” di Thomas Mann. E certo ci sarebbe voluta un bel po’ di immaginazione per paragonare Gustav von Aschenbach (che nel romanzo è scrittore, filosofo, intellettuale in senso pieno) a Lele Mora (uomo convinto che a meritare il premio No-bel sia Maria De Filippi per la sua scarsa avvenenza). E di sicuro c’è una differenza abissale tra l’etereo, efebico Tadzio che si limita a uno sguardo assassino tuffandosi in mare, e il palestrato Fabrizio che di palle non concedeva mica solo quelle degli occhi, e che, animato solo da un puro interesse pecuniario, inseriva il suo organo sessuale negli orifizi del manager come si infila la tesserina dentro il bancomat.
Eppure io resto convinto che, sotto sotto, i motori emotivi che possono aver spinto Lele Mora a rovinarsi il capitale e la reputazione per un addominale a tartaruga siano del tutto analoghi a quelli che annientano Von Aschenbach su una spiaggia del Lido.
Dunque, a mio avviso, regalare a ragazzini incolti (abbiano essi 12 o 120 anni poco cambia) l’occasione di commentare il gossip con le parole di un maestro della scrittura potrebbe, chissà, aiutarli a scoprire che, per quanto a loro sembri incredibile, la contemporaneità è una grossa illusione, e che tutti gli ultimi incredibili scoop strillati da Eva Tremila hanno una loro versione più alta, nobile e arricchente, in qualche capolavoro del passato.
Poi, se proprio Mann dovesse sembrarvi eccessivo, esageratamente tragico, non in linea con la leggerezza e il bisogno di sit-com che dà ritmo al nostro mondo, beh… allora in quel caso c’è Aldo Palazzeschi, e la storia delle sue Teresa e Carolina Materassi le quali, dopo aver vissuto tutta una vita all’insegna del lavoro e della stitichezza sessual-emotiva, finiscono nel baratro quando nella loro vita entra quel concentrato di testosterone del nipote Remo.
Non ci sono dubbi che ci sia più erotismo e carica ormonale nelle pagine delle “Sorelle Materassi” che nel backstage di “Uomini e Donne”. E certo Fabrizio Corona è una perfetta brutta copia, modernizzata e intruzzita, dell’eroe di virilità che le due anziane signore, turbate dal desiderio della carne quando ormai è troppo tardi, finiscono con l’appendere in casa sotto forma di poster semipornografico.
Insomma non è mica detto che tutto l’orrido venga per nuocere.
Se, come cantava un Fabrizio di tutt’altra caratura, “dal letame nascono i fiori”, può anche essere che da una bassa storia di marchette e sfruttamento possa venir fuori un’interessante lezione di storia della letteratura.


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