Di Claudia Verardi
È una bella storia di sentimenti, possibili tragedie e iniziazione alla vita quella raccontata in In bilico sul mare da Anna Pavignano, scrittrice e già sceneggiatrice storica dei film di Massimo Troisi (candidata all’Oscar per la sceneggiatura de Il Postino). Conosciuta soprattutto come autrice di sceneggiature, la Pavignano conferma con questo libro di sapere usare magistralmente le parole e di essere una brava narratrice. In Bilico sul mare racconta lo storia di Salvatore, un ragazzo che con la sua barca porta in giro i turisti a visitare l’isola dove abita e dov’è nato. Dopo la terza media, Salvatore ha deciso di non continuare gli studi e di dedicarsi a una vita libera, senza troppe imposizioni di nessun tipo. D’estate è facile, è tutto bello, ma d’inverno, quando l’isola è semivuota, le cose sono completamente diverse. È allora che Salvatore deve, suo malgrado, piegarsi alla vita che non vorrebbe. Lavoro nero, rischi, pericoli. Quante bisogna subirne. Un giorno gli capita, addirittura, di salvare la vita a un suo amico extracomunitario, afferrandolo al volo mentre cade da un’impalcatura. Da qui in avanti il ragazzo diventerà fiacco, svogliato e quasi cadrà nelle grinfie di quella bestia nera che si chiama depressione, passando interminabili giornate a letto senza nessuno stimolo. Questo finché non si innamorerà di Giovanna, una ragazza genovese piuttosto colta che lo spinge a riprendere gli studi e a farlo andare avanti con la sua vita. Il destino, però (che si mette sempre in mezzo), non sarà molto tenero con Salvatore. Giovanna, infatti, lo lascerà e lui ripiomberà in quello stato di depressione funambolica, quel limbo dove non si riesce più a capire il senso delle cose e dell’equilibrio, come se si fosse in bilico sull’impalcatura di un cantiere, in bilico sul mare, in bilico fra le cose della vita. La storia, per dichiarazione stessa dell’autrice, è frutto della fantasia, ma descrive la vita reale dei giovani che vivono sulle zone costiere e che conducono, come dice il protagonista stesso, una vita “da materasso”, ovvero un’esistenza che ha un lato invernale e uno estivo. Una vita di mare e una di cantiere, insomma.
La Pavignano ha detto di aver conosciuto sull’isola di Ventotene uno di questi Salvatore che le ha raccontato una realtà che non conosceva e che ha deciso di approfondire.Scritto con uno stile semplice ma evocativo e con un linguaggio diretto ed efficace, In Bilico sul mare è un romanzo profondo che avvince e cattura il lettore accompagnandolo fino all’ultima pagina, anche se va detto che non racconta situazioni poi così nuove. Il tema del precariato e delle morti bianche è molto attuale e anche molto battuto. Il linguaggio usato nel libro è davvero interessante: una sorta di esperimento in cui la Pavignano (piemontese ma con una certa conoscenza del dialetto partenopeo, anche grazie al rapporto con Massimo Troisi) mescola un italiano semplice a un napoletano sui generis, col risultato di una lingua incrociata speciale e di grande effetto. Il linguaggio di Salvatore è molto naif, ma anche estremamente poetico. Sul piano letterario incuriosisce l’uso che i diversi personaggi fanno della lingua adottata, che si ricollega alle storie e alle vicende personali, come la scelta delle parole, dei modi di dire, delle locuzioni.
Quando si analizza e si critica un testo letterario, è difficile valutarlo asetticamente e tessere i fili della stima in maniera davvero oggettiva. Però In Bilico sul mare è una storia ben scritta che racconta, sì, tematiche sociali molto delicate, ma è permeata dall’inizio alla fine dal sentimento per eccellenza: l’amore. Magari è per questo che il regista Alessandro D’Alatri ha deciso di farne un film (che sta diventando, tra l’altro, un vero e proprio cult per le generazioni più giovani). Per la sua aura delicata, per la sua poesia, per la sua interna drammaticità. Il mare, nel racconto, è un elemento fondamentale. È un personaggio di per sé. Nascere e crescere accanto al mare significa portarlo dentro di sé per tutta la vita. Già, il mare. Elemento primordiale che affascina ma nello stesso momento allontana, che attira per poi respingere. Chi è cresciuto accanto al mare ci vive quasi un rapporto di dipendenza, non può – e non vuole – sfuggirgli e lo cerca continuamente. Ed è proprio il mare che unisce e divide le vite dei due giovani protagonisti, simili per certi versi ma diversissimi per altri. Lui, isolano e verace, lei, elegante e ben istruita. Si sentono attratti mentre, sullo sfondo, il mare osserva il susseguirsi delle vicende come uno spettatore saggio e discreto. Nella narrazione c’è qualcosa che riporta (è inevitabile notarlo) a Massimo Troisi. Sentiamo cosa ha dichiarato a Repubblica Anna Pavignano in proposito: “Spesso mi viene da scrivere cose che potrebbero essere recitate da Massimo. È una scrittura comica che mi appartiene. I due ragazzi hanno i tempi tipici della comicità napoletana, ma non gli fanno il verso come tanti altri. La passione per Massimo è ancora attuale ed esiste tutta una scuola partenopea di quel filone. I suoi non sono visti come film superati. Come sarebbe lui oggi? Credo un uomo venuto a patti con la vita”. E, ancora, cosa dice sul rapporto dei giovani con le nuove tecnologie: “I ragazzi di oggi sono molto legati a Internet, ma quando sono stata a Ventotene, due anni fa, Internet si prendeva solo al porto. Lì ho conosciuto un ragazzo che portava i turisti in barca e navigava solo sul mare, non sul web”.
Nel libro ci sono alcuni riferimenti cinematografici, e quello più romantico è a pag. 98, dove ci si riferisce a Splash – Una sirena a Manhattan, film di Ron Howard del 1984. Il passaggio dice così: “Era una specie di favola, la storia di una sirena che esce dal mare e va a New York. Allora ne ho visto un pezzo anch’io: in quel punto faceva ridere. C’è uno, il protagonista, che si innamora di lei e la porta al ristorante a mangiare il pesce , e lei gli fa fare delle figure di niente perché è una ragazza bellissima, bionda, con dei boccoli fino al sedere, ma mangia come un animale. Senza posate, si mastica anche la crosta dell’aragosta. Perché lei era abituata così, essendo pesce. Però la storia era molto bella, romantica. Era proprio un grande amore”. È interessante analizzare questo stralcio, osservando quanto un contenuto forte venga evidenziato da un linguaggio strutturalmente semplice, che poggia su basi dialettali. Significato potente contro significante incisivo. Connubio interessante.
In definitiva, In Bilico sul mare colpisce per freschezza ed energia, ma anche per il calore e il garbo della storia e dei sentimenti raccontati. Si sente che per Anna Pavignano scrivere è un’esigenza, un modo per comunicare ma soprattutto una strada per tirare fuori i propri sentimenti e descrivere quelli altrui. La storia, poi, procede per contrapposizioni (e anche questo è un lavoro di strutturazione letteraria): ci sono il mare e la terra ferma, l’inverno e l’estate, l’amicizia e l’amore, la luce e il buio. Opposti che, però, come in ogni storia che si rispetti si attraggono inevitabilmente. Anna Pavignano ha saputo costruire una storia piena e sanguigna, forse a tratti violenta, priva del lieto fine consolatorio che spesso ammorba tanti bei romanzi. È una storia intessuta con semplicità che nasconde tra le sue pieghe momenti intensi e spunti di riflessione su temi dolorosi: le morti bianche, il precariato, l’immigrazione clandestina. In Bilico sul mare intreccia così sentimento e analisi sociale in maniera originale, vivida, immediata, facendoci emozionare e riflettere sulla vita intorno a noi.
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