di Federica Castellana
Economie ormai dinamiche, competitive, business-friendly e in crescita del 5% (dati 2011): basti pensare che il volume totale degli scambi commerciali dell’UE raggiunge ogni anno circa 36 miliardi di euro con l’Ucraina e oltre 12 miliardi di euro con la Bielorussia, mentre gli stock di investimenti europei si attestano rispettivamente a quota 23 miliardi di euro nella prima e circa 500 milioni di euro nella seconda. Specialmente in tema di energia l’Ucraina e la Bielorussia sono partner importanti: ai Paesi dell’UE rivendono infatti quote rilevanti di petrolio e gas naturale provenienti dai giacimenti russi e centroasiatici e trasportate nella Mitteleuropa dai gasdotti Yamal e Transgas e dall’oleodotto dell’Amicizia (Druzhba), che passano proprio attraverso il territorio ucraino-bielorusso. Inoltre l’Ucraina è tra i Paesi europei dotati di una roccia poco permeabile e simile all’argilla, nota come roccia di scisti, da cui è possibile estrarre mediante meccanismi idraulici lo shale gas: una nuova tipologia di gas naturale, al centro di analisi e interesse a livello internazionale per diversificare l’approvvigionamento energetico europeo (e non solo) rispetto ai fornitori storici – Russia, appunto, e Medio Oriente.
Da parte loro, l’Ucraina e la Bielorussia, situate in una speciale posizione geografica di cuscinetto tra Est ed Ovest, hanno dato negli ultimi anni l’impressione di due giovani Paesi divisi tra il richiamo alla fedeltà per la grande Madre Russia e le spinte verso una maggiore indipendenza nazionale sotto l’ombrello dell’UE e della NATO. Una precarietà rintracciabile sinora nelle forti spaccature delle opinioni pubbliche e nelle scelte dei governi di Kiev e Minsk, dettate da un chiaro pragmatismo e oscillanti tra le diverse avances offerte da Mosca e Bruxelles.
La strategia di Mosca - L’approccio della Russia nei confronti dell’Ucraina e della Bielorussia si inserisce nell’ambiziosa politica estera perseguita dal team Putin-Medvedev volta a ridefinire la distribuzione globale del potere e recuperare un ruolo di primo piano in un contesto internazionale sempre più interessato da fenomeni di aggregazione regionale (in primis il blocco UE/NATO, l’America Latina, Cina e India). In particolare, è evidente che tale approccio rientra nell’intento di consolidare l’influenza russa sugli ex satelliti sovietici ovvero di contenere la progressiva espansione euro-atlantica verso Est, che peraltro è ormai irreversibile nei Paesi baltici e forse anche nell’inquieta Georgia in seguito al conflitto del 2008 in Ossezia del Sud. In questa prospettiva Mosca utilizza astutamente due importantissime leve, l’energia e il commercio, offrendo ai suoi interlocutori vantaggi e rapporti privilegiati.
Malgrado gli attriti degli scorsi anni, Kiev e Minsk hanno infatti ottenuto dalle compagnie russe Gazprom e Transneft degli sconti sulle forniture di gas e petrolio, che hanno permesso a entrambi i Paesi di incrementare la spesa pubblica, ridurre le tariffe energetiche applicate agli acquirenti europei e di conseguenza rendere più competitivi i costi della manifattura domestica sui mercati esteri. Nel frattempo, Gazprom continua ad aumentare la sua quota di controllo sul corridoio di transito energetico: per modernizzare la rete dei gasdotti e renderla più efficiente ha già acquisito per intero il gestore bielorusso (Beltransgaz) e sta facendo simili pressioni su quello ucraino (Naftogaz). Sul fronte commerciale, invece, è in vigore dallo scorso anno l’Unione doganale tra Russia, Kazakistan e Bielorussia (presto si aggiungeranno Kirghizistan e Tagikistan), primo passo verso quella proposta di Unione Eurasiatica lanciata da Putin nell’ottobre 2011: uno spazio economico comune collocato tra il Vecchio Continente e il Pacifico che unisca tutti i mercati degli ex Stati sovietici, ispirato all’Unione Europea e aperto alla cooperazione con le altre organizzazioni regionali e internazionali. L’adesione dell’Ucraina è fortemente auspicata dal Cremlino, disposto in cambio a ulteriori concessioni sul conto energetico. Lo stesso Putin assicura tuttavia che nel suo grande progetto non c’è spazio per eserciti o ideologie: nessuna restaurazione quindi dell’Impero bolscevico ma di certo l’occasione per la Russia di riconquistare peso nel sistema mondiale ponendosi come principale punto di riferimento per i Paesi dell’area e avvalendosi soltanto dell’arma economica.
La politica di vicinato di Bruxelles - I recenti allargamenti dell’Unione Europea hanno reso più impellente la necessità di una forte collaborazione con gli Stati confinanti, a Est e a Sud, per garantire sicurezza e stabilità e per prevenire la rinascita di nuove divisioni in tutto il continente europeo. Avviata proprio nel 2004, l’ENP, l’European Neighbourhood Policy, ha l’obiettivo principale di coinvolgere gli Stati vicini (dall’Europa orientale al Maghreb, passando per il Caucaso e il Vicino Oriente) nei benefici politici, economici, sociali e strategici dell’integrazione comunitaria. Questo viene realizzato mediante accordi bilaterali e piani di azione periodici, negoziati da Bruxelles con i singoli Paesi, che prevedono: la partecipazione a programmi europei in materia di trasporti, energia, telecomunicazioni, ambiente, frontiere e giustizia; diverse agevolazioni commerciali per l’avvicinamento al mercato unico europeo; l’assistenza tecnica e finanziaria fornita dallo “Strumento europeo per il vicinato e partenariato” (ENPI) la cui dotazione per il periodo 2007-2013 è stata di circa 12 miliardi di euro e che ha contribuito, tra l’altro, all’adeguamento infrastrutturale dell’Ucraina in vista del Campionato europeo di calcio 2012 ospitato insieme alla Polonia. In tipico stile europeo, si tratta di accordi condizionati al rispetto dei valori fondamentali su cui si basa l’UE, anche se è opportuno ricordare che ad oggi per nessuno di questi Paesi ci sono prospettive di adesione vera e propria.
The European Neighbourhood Policy – Fonte: Center for Security Studies (CSS)
Ucraina e Bielorussia fanno parte della suddivisione dell’ENP denominata “Partenariato Orientale”; ultimamente, però, le loro relazioni con l’UE hanno subito una battuta d’arresto soprattutto per divergenze politiche e per gli effetti indiretti della crisi mondiale. Le trattative sul nuovo Accordo di Associazione con Kiev sono state sospese da Bruxelles a causa della vicenda Tymoshenko, tuttora irrisolta, e non riprenderanno finché l’Ucraina non avrà fatto progressi in tema di trasparenza, giustizia e riforme elettorali. Anche un investimento dell’UE nel promettente shale gas appare a questo punto difficile, considerati gli elevati costi economici e ambientali dell’estrazione e la mancanza di conoscenze e attrezzature adeguate. La Bielorussia invece preme per un confronto nuovo, che abbandoni pretese, adeguamenti, sacrifici e sanzioni, e si basi su un equilibrio di aspettative più rispettoso. La stessa Unione Europea, alle prese con i suoi drammi interni economici e istituzionali, sembra meno convinta dalle politiche di vicinato (già limitate) e più interessata all’allargamento ai Balcani e all’Islanda.
Il dualismo dell’Ucraina e della Bielorussia è quindi solo apparente. In realtà l’impasse a Ovest con Bruxelles sta spostando la loro bussola decisamente verso Est: un riavvicinamento a Mosca che è sostenuto sia a Minsk dall’”ultimo dittatore d’Europa”, Lukashenko, sia a Kiev dal presidente filo-russo Yanukovich. Per i due governi, l’Unione europea è un partner strategico ma non così determinante e la vera priorità rimane la Russia. Insomma, per il momento Ucraina e Bielorussia restano due finestre russe sull’Europa.
* Federica Castellana è Dottoressa in Scienze Politiche, Relazioni Internazionali e Studi Europei (Università di Bari)