L’astinenza da viaggio, tra le altre cose, causa anche equilibrio precario, andamento tentennante, comportamento titubante, in due parole lo stato “in bilico”, quello in cui da un momento all’altro potresti ritrovarti faccia a terra.
Leggere quanto di seguito canticchiando la musica di Quark:
L’equilibrio è dato da alcuni recettori nelle orecchie che “sentono” la posizione della testa, e quindi del corpo, nelle 3 dimensioni. In altre parole ci danno una collocazione, ci percepiscono come punti con delle coordinate. Ci fissano dentro una rete di linee.
Cosa succede quando queste coordinate spariscono, quando non sappiamo più bene dove siamo né dove vorremmo essere, quando non troviamo più la nostra posizione nello spazio?
Semplice. Perdiamo l’equilibrio e cadiamo.
L’equilibrio si può perdere, a volte consapevolmente, per lanciarsi nel vuoto, il più delle volte senza paracadute, con coraggio, inseguendo qualcuno o qualcosa nonostante le vertigini e a volte per sbaglio, inciampando tra i tanti ostacoli, scivolando, ruzzolando, precipitando… Io ad esempio l’ho perso definitivamente quando ho iniziato a viaggiare. Ho comprato una bussola, provato a cercare la stella polare, seguito un corso per boyscout online, ma niente…L’orientamento non l’ho più ritrovato…Continuo a viaggiare scombussolata e, la mia rinomata testardaggine (“sei de coccio!!” è la frase più ricorrente di mio padre) fa si che non solo mi perda, bensì, che ami perdermi.
Quando qualcuno mi nota in un luogo insolito (magari dentro ad un albero!), con la faccia spaesata e il naso all’insù, alla ricerca di un’ispirazione celestiale, con la mappa strascicata al suolo, e mi domanda: “Ti sei persa? Posso aiutarti?” la mia energica risposta è sempre ” Si, mi sono persa, ma no, non ho bisogno di aiuto, grazie.”
Io non so se l’equilibrio sia una virtù concessa a pochi, una capacità che si sviluppa con l’esperienza o un istinto innato, però mi piace pensare che sia una scelta.
Mi piace pensare che lo squilibrio non sia la semplice negazione di chi si tiene in piedi, dritto, stabile sul filo, petto in fuori e pancia in dentro, bensì l’affermazione di chi ama sbandare, di chi, barcollando, riesce a disegnare delle curve laddove altri vedono solo linee rette, quelli che i recettori nelle orecchie li hanno ancora belli funzionanti. Come le pecore in Scozia, sempre in bilico sulle scogliere, senza batter ciglio, esempio emblematico di chi non dubita mai sul suo percorso. Che sia verso delle tenera erbetta fresca o verso un futuro a quadretti come i quaderni delle elementari. Ogni lettera dentro un quadretto, ogni frase dentro una riga.
Mi piace pensare che sia la scelta di chi, quando vede una freccia, storce un pò la testa, la guarda diffidente, la scruta con sospetto, cerca di sentirne l’ardente mistero e solo allora, solo se sente quel magico incanto, la segue. Altrimenti la snobba e prosegue dall’altro lato.
Voglio pensare che sia la scelta di chi, esattamente in quelle curve che disegna con i suoi passi scoordinati, trova tesori tanto sorprendenti da causare altri squilibri, altre cadute, altri lividi.
La scelta di chi, deviando e vacillando, riesce a fare incontrare persino quelle rette parallele che per tutti gli altri non si incontreranno mai… E ci riesce in quegli angoli del mondo dove i cartelli ti suggeriscono di non andare.
Si, probabilmente è una mia deformazione, uno dei miei tanti eccessi di libero arbitrio, ma amo pensare che, anche quando non me ne rendo conto, quando sembra che non vorrei cadere e mi aggrappo con tutte le mie forze per tenermi in piedi, quando poi piomberò di peso in pieno suolo, con un tonfo risonante e spaventoso, anche lì, sarà stata l’ennesima scelta, l’ennesima viva affermazione di chi pensa che il bello della vita sia proprio rialzarsi in piedi con le ginocchia sbucciate…