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In Botswana è divieto di caccia. Proprio per tutti?

Creato il 07 aprile 2014 da Cafeafrica @cafeafrica_blog
Dal 1 gennaio 2014 è entrato in vigore in tutto il Botswana il divieto di caccia, fatta eccezione per alcune riserve private destinate a tale pratica.
È una bella notizia, eppure ci sono da considerare due aspetti: il business della caccia in alcune realtà è ancora troppo profittevole per rinunciarvi del tutto e le conseguenze per le popolazioni indigene in termini di sussistenza ed emarginazione.
Il divieto fissato dal Presidente del Botswana, Seretse Ian Khama, si estende anche ai Boscimani, una popolazione che pratica da sempre la caccia a fini di sostentamento e attorno alla quale si è costruita gran parte della loro cultura di riti e tradizioni.
Paradossalmente, i Boscimani e le loro conoscenze relative alla caccia sono stati fondamentali per la lotta al bracconaggio: le loro tecniche di individuazione, mimetizzazione e lettura delle tracce e dei comportamenti animali vengono tuttora studiate e applicate dalle unità specializzate nella tutela delle specie a rischio.
Inoltre, proprio il fascino della loro cultura, legata al rapporto simbiotico con la natura e i suoi esseri, richiama ogni anno in Botswana migliaia di turisti interessati all’incontro con i San, altro nome per identificare questo antico popolo.

Boscimani_San

Roy Sesana, leader della tribù, ha spiegato il profondo significato che la caccia riveste per i popoli indigeni come i Boscimani. “Sono cresciuto come un cacciatore. Tutti i ragazzi e gli uomini del mio popolo erano cacciatori. Cacciare vuol dire cercare e parlare agli animali. Noi non rubiamo. Noi andiamo e chiediamo. Sistemiamo una trappola, o camminiamo con l’arco e una lancia. Possono volerci giorni interi. Finalmente vedi le tracce dell’antilope. Lei sa che sei tu sei lì, lei sa che ti deve dare la sua forza. Ma si mette a correre e tu devi inseguirla. Correndo, diventi come lei. La corsa può durare ore e, alla fine, ci fermiamo stremati entrambi. Allora le parli e la guardi negli occhi. È così che lei capisce che deve darti la sua energia, perchè i tuoi bambini possano sopravvivere.”

Eppure, se da un lato si nega la caccia ad un popolo, che col tempo potrebbe snaturarsi e veder trasformata la sua cultura in un semplice ricordo messo in scena per i turisti, dall’altro si permette che in alcune aree, sebbene non numerose e ben delimitate, si continui con l’uccisione di specie rare. In nome solo del dio denaro.
Taluni affermano che quei proventi sono fondamentali per finanziare la tutela della natura. Ma a dire il vero mi sembra un argomento superato. Un tempo la caccia era molto più diffusa ed economicamente insostituibile, ma oggi si è visto e provato che il turismo sostenibile nel lungo periodo frutta molto di più.

Di recente il direttore di Survival, Stephen Corry, ha denunciato che il primo parco nazionale fu istituito sulle terre dei popoli indigeni dopo che questi erano stati sfrattati. “Il movimento per l’istituzione di parchi nazionali ha causato lo sfratto forzato, e spesso la completa distruzione, delle tribù che vivevano di quella terra. Oggi le immagini satellitari dimostrano che molti popoli indigeni sono i migliori conservazionisti al mondo, ma nonostante questo vengono ancora perseguitati e annientati.”

Forse i Boscimani saprebbero suggerire la soluzione migliore…

Fonti: www.survival.it

Leggi anche: http://cafeafrica.wordpress.com/2013/11/18/melissa-bachman-caccia-leone/


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