Sembrava dimenticato per sempre ed invece, all’improvviso, si ritorna a parlare di talidomide, il farmaco che negli anni Cinquanta dello scorso secolo causò la nascita di almeno diecimila bebè deformi. Somministrato come sedativo alle donne incinta senza un approfondito studio, provocò uno scandalo medico e sociale che servì almeno a rendere più severe le norme sull’approvazione ed applicazione dei nuovi farmaci. Le immagini dei bambini resi focomelici dall’uso improprio del talidomide servirono a lungo da monito all’irresponsabile corsa al profitto dell’industria farmaceutica del tempo. Ad essere accusata, allora, fu la Grunenthal, che patentò il rimedio nel 1954. A distanza di più di mezzo secolo, l’azienda è stata trascinata in un class action spagnola lo scorso anno, perché accusata di aver continuato a vendere il medicamento in Spagna per sei mesi dopo la sua proibizione. Il risarcimento richiesto è stato fissato a 204 milioni di euro.
Dimenticato dalle cronache, ma non sparito, il talidomide ha continuato ad essere usato. In Brasile, soprattutto, dove riottenne la licenza già nel 1965, in seguito agli studi che ne avevano comprovato la sua utilità nella cura della lebbra. A scoprirne il beneficio fu un biologo russo-israeliano, Jacob Sheskin, che sperimentò con successo gli effetti curativi del talidomide sulla cute degli ammalati. A partire da allora il farmaco è ritenuto da molti necessario per chi –e in Brasile sono trentamila all’anno- viene contagiato dal pericoloso batterio della lebbra.
La denuncia sulle nascite di bambini focomelici –un centinaio in un lasso di cinque anni- arriva ora dall’Universidade Federal do Rio Grande do Sul ed ha scatenato una polemica che ha coinvolto medici, imprese farmaceutiche ed i responsabili delle politiche sanitarie brasiliane.
Secondo questi ultimi, sono più i benefici che i rischi del talidomide e mettono in dubbio i risultati dell’investigazione accademica che si basa per il momento sulle coincidenze delle lesioni e non su un effettivo controllo causa-effetto. Ciononostante, da almeno due decenni la World Health Organization ha bandito il talidomide anche per il suo uso negli infermi di lebbra, ritenendo impossibile sviluppare un meccanismo di controllo che possa preservare la salute delle donne incinta e del loro bebè. E, tornando al Brasile, già nel 1994, uno studio medico rivelò la presenza di almeno 61 casi di casi di neonati deformi le cui cause potevano farsi risalire all’uso di talidomide nell’arco di tempo dal 1965 al 1990. Dal Ministero, però, minimizzano e la campagna per calmare gli animi sulla vicenda la dice chiara: il farmaco è pericoloso, ma necessario. Proprio per questo, si continuerà a prescrivere e a vendere.