Zhaoxing è il più grande villaggio Dong della Cina, si trova nella regione del Guizhou in una zona autonoma tra verdi colline terrazzate. Fino a poco tempo fa era molto isolato ed era una destinazione classica da viaggiatori indipendenti in cerca di luoghi fuori dalle rotte principali, ma poi qualcuno nel partito ci deve aver visto le grandi potenzialità turistiche e sono iniziati vari lavori che l’hanno in parte snaturato e, dal mio punto di vista, rovinato. E il processo è tutt’altro che finito, anzi ora c’è in costruzione un vero e proprio villaggio nuovo accanto al vecchio, con case tradizionali finte, ponti, mulini e cascatelle artificiali, che dovrebbe ospitare negozi e turisti. Cioè, è come se da noi per rilanciare il turismo a San Gimignano costruissero nuove torri ed edifici medievali finti. Una assoluta assurdità. Ma è questa l’idea del turismo della Cina post-comunista: trasformare tutte le attrazioni turistiche (“scenic spots”) in tristissimi parchi a tema dove i turisti pagano un biglietto, si fanno tante foto tra di loro e assistono ad altrettanto tristi spettacolini di gente annoiata che balla e canta con abiti tradizionali. Una visione del viaggio e del turismo secondo me aberrante. Ma è il loro Paese, non il mio, se sono contenti così oppure non hanno la voglia di ribellarsi al regime peggio per loro.
Fortunatamente la parte vecchia di Zhaoxing è ancora in gran parte intatta. E’ un villaggio stupendo, con più di 4000 case tradizionali Dong, vari fenguy ( ponti coperti ), bellissime drum towers, strade in ciottolato e abitata da un sacco di gente simpatica che quasi sempre indossa abiti tradizionali. Anzi, è proprio un loro punto d’orgoglio farsi gli abiti da soli, a partire dal tessuto fino alla tinta ( rigorosamente blu scuro ), alla sartoria e all’inevitabile martellatura. Ovviamente anche qui i più giovani stanno abbandonando queste tradizioni e iniziano ad indossare più comodi abiti occidentali. Forse in alta stagione è diverso ma non ho avuto l’impressione di gente che si è calata le brache ai turisti, a parte i ballerini degli spettacoli tutti gli altri continuano a fare la loro vita di contadini e artigiani senza preoccuparsi troppo del turismo.
Ci sono 5 grandi drum towers, che venivano costruite come simbolo di prosperità dai vari clan del villaggio. Oggi sono luoghi di ritrovo per gli anziani del villaggio. I ponti sono belli e decorati ma meno belli di quelli di Chengyang. La sera tutto viene illuminato, l’atmosfera è veramente suggestiva.
Il villaggio è piccolo e in teoria dovrebbero esserci almeno una decina di hotel, ma stranamente devo girare per un bel po’ prima di trovarne uno economico che fa al caso mio. Mi fermo anche all’ufficio del turismo ma ovviamente l’impiegata non parla inglese. In ogni caso alla fine vedo un’insegna di quella che sembra più una vecchia locanda che un hotel e mi fermo a chiedere se hanno una stanza. Solo cinese anche qui, ma riesco a farmi capire e il posto è proprio bello, con stanze perlinate, riscaldamento, tv satellitare, e una bellissima vista sul fiume e sul vicino ponte. Il tutto per soli 60 yuan, circa 7 euro.
A pochi chilometri da Zhaoxing c’è un altro villaggio Dong molto bello, Tong’an. Ero indeciso se andarlo a vedere o meno, perché avevo letto da qualche parte che grazie ad un progetto finanziato anche da europei ( Norvegesi o Danesi ) era stato trasformato in una specie di museo tradizionale per turisti. Alla fine ci sono andato e si è rivelata una bellissima camminata tra risaie mozzafiato e luoghi da fiaba. Il villaggio è proprio bello e in realtà non sembra per nulla un parco a tema finto come mi aspettavo fosse. Anzi mi ha dato ancora di più l’impressione di realtà contadina cinese tradizionale che è rimasta praticamente immutata nei secoli. Forse magari anche qui se avessi incontrato un paio di grupponi di turisti l’avrei giudicato in modo diverso, ma in ogni caso non c’era nessuno a parte qualche contadino, delle donne che lavavano i panni alla fontana della piazza e gli immancabili pensionati che giocano a carte con la classica “uniforme” blu dei tempi di Mao, che va ancora molto di moda da queste parti.
Lasciata Zhaoxing arrivo a Kaili, una città anonima quasi sconosciuta anche agli stessi cinesi, che però invece per me è perfetta come base per visitare dei villaggi vicini e per osservare la vita dei cinesi di città in un posto dove non c’è turismo e dove noi laowai siamo quasi un oggetto misterioso. OK, è facile andare in una qualsiasi città industriale cinese ed essere l’unico straniero, ma alla fine ciò che conta per me è che ci siano delle cose potenzialmente interessanti, non necessariamente attrazioni turistiche. Tra l’altro il Guizhou è anche una delle regioni più povere del Paese, il reddito medio da queste parti è addirittura un decimo di quello degli abitanti di Shanghai, e per la mia esperienza di viaggiatore proprio in queste zone si trova la gente più bella ed ospitale.
Anche qui c’è un progetto di ristrutturazione mastodontico e ci sono cantieri ovunque. In Cina quando decidono di ristrutturare una città non vanno per il sottile: arrivano eserciti di operai con i bulldozer, radono al suolo tutto e ricostruiscono a velocità impressionanti. Non esistono lungaggini burocratiche o proteste, il partito decide e quando il progetto è stato approvato si va avanti velocissimi senza intoppi. Il risultato è che le città stanno diventando tutte un po’ simili, anzi a volte ho avuto l’impressione di camminare sempre nella stessa città.
Kaili comunque pur non essendo certo una bella città ha delle cose positive che la possono rendere interessante. In primo luogo il cibo: ci sono ovunque centinaia di ristoranti e bancarelle di ogni tipo che vendono tantissime specialità locali ma anche di altre regioni. La scelta è quasi infinita e ci sono moltissime cose che non avevo mai visto e sapori che non conoscevo. Tutto molto piccante in genere. Chi pensa che il cibo cinese sia solo involtini primavera, pollo alle mandorle e riso più o meno fritto dovrebbe farsi un giro da queste parti. Questa città è moderna ma essendo la capitale di una regione prevalentemente tribale è come se fosse un enorme villaggio: tra le banche, i palazzoni e i centri commerciali, ci sono stradine e vicoli sempre pieni di gente che vende qualsiasi cosa, in pratica è come se fosse un grandissimo mercato in tutto il centro della città. Molte donne indossano abiti tradizionali e molti anziani il solito completo nostalgico blu. E’ in questa città che inizio a notare alcune cose interessanti e uniche della cultura cinese, come ad esempio la cazzutaggine delle donne. In Cina forse non ci sarà una perfetta parità dei sessi ( nelle famose foto ingessate degli esponenti del partito se ne vedono ben poche ) ma le donne sono molto toste e fanno praticamente tutti i lavori che fanno gli uomini, anche i più duri e pesanti, che mai nessuna donna europea prenderebbe in considerazione. Ho visto donne fabbro, muratore, barbiere, calzolaio, lustrascarpe, idraulico, autista di ogni mezzo possibile ( moltissime autiste di autobus pubblici, e guidare un autobus all’ora di punta in una grande città cinese è veramente impegnativo ). Da quanto ho capito è qualcosa che è rimasta dai tempi della rivoluzione culturale, quando tutti, quindi donne comprese, dovevano rendersi utili in ogni modo per la collettività. Un’altra cosa che mi ha colpito è lo strano concetto di privacy dei cinesi, o forse è meglio dire la quasi assenza di quel concetto, che invece è molto importante per noi occidentali. Al di là dei famosi bagni pubblici dove non ci sono porte e bisogna fare i propri bisogni davanti ad un sacco di gente, ho notato ad esempio i dentisti e gli ambulatori medici “all’aperto” con la gente che si fa curare o si fa le flebo praticamente in mezzo alla strada. O molte case “aperte” ( la casa cinese classica in genere ha un ampio locale adibito a bottega o a magazzino al piano terra dove però ci possono mettere anche un salotto o una cucina ) dove si può osservare la gente che si fa i fatti propri. Mi ha stupito anche l’elevata resistenza al freddo di questa gente. Era l’inizio dell’inverno, c’erano temperature vicino o forse anche sotto lo zero, ma quasi tutti i negozi e le botteghe non avevano porte o vetrine, e in genere l’unico riscaldamento ( quando c’era ) erano piccole stufette elettriche. E ovviamente moltissimi lavoravano in bancarelle, banchetti o anche semplici sedie ( come le sarte ) all’aperto. Nessuno sembrava farci caso comunque. Poi mi hanno divertito le imbonitrici ( belle ragazze che fuori dai negozi urlano ad un microfono le offerte speciali ), mi hanno intristito gli sguardi degli operai a giornata seduti sui marciapiedi in attesa che arrivi qualche caporale che li prenda, mi hanno rallegrato le rumorosissime orde di bambini che uscivano dalle scuole.
Su internet scopro che c’è un ufficio del turismo “famoso” per essere molto utile ai rari viaggiatori indipendenti che passano da queste parti, e decido di andare a farci un salto. Trovo un tizio simpatico che parla un buon inglese che però mi sarà utile solo in parte, visto che le informazioni che mi darà saranno più o meno quelle che avevo già. In più mi sconsiglia di provare ad andare al mercato Miao di Shidong perché sostiene che è troppo lontano e il viaggio sarebbe troppo lungo da farsi in giornata. Non mi fido e decido di andarci lo stesso, alla stazione mi dicono che ci vogliono un paio d’ore, quindi in teoria dovrei starci dentro senza problemi, anche se c’è un solo bus che parte al mattino e torna nel primo pomeriggio, quindi devo stare attento a non perderlo se no sono fregato. Ci sono molti mercati tribali in questa zona ma i calendari sono confusi e cambiano spesso, quindi è comunque necessario avere una conferma dall’ufficio del turismo o da qualcuno del posto. In ogni caso il mercato di Shidong dovrebbe esserci ogni 6 giorni ed essere il più ricco e interessante tra quelli Miao.
Arrivo verso le 9 e il mercato è in piena attività. Visito una prima parte dove donne dai lineamenti duri, guance rosse e i visi anneriti vendono legna e carbone, mentre alcuni uomini vendono attrezzature per l’agricoltura e vari animali più o meno vivi. Seguo un gruppo di donne Miao ( ben riconoscibili dalla fascia rossa e dallo spillone che portano tra i capelli ) tra enormi bancarelle di arance e mandarini e raggiungo in breve la parte più grande del mercato, che si trova in riva al fiume che bagna la città. C’è molta gente e tante cose strane in vendita: dalla tinta indaco per gli abiti ai gioielli Miao, dalle radici e foglie per medicine tradizionali ed infusi ai vari tipi di anatre ( che volendo ti spiumano sul posto ), dagli abiti tradizionali ai fuochi d’artificio. In più non mancano guaritori, indovini, mendicanti, aggiustatori di qualsiasi cosa e dentisti di strada ( con trapano a pedale ). In una vecchia casa vedo che c’è ressa e incuriosito vado a vedere cosa succede. E’ il mercato degli uccelli da combattimento: ci sono una cinquantina di uomini ognuno con la sua bella gabbia che propongono vari uccelli ai compratori. Da quanto ho capito possono costare anche un sacco di soldi per gli standard locali.
Un paio di giorni dopo vado a vedere un altro villaggio Miao, Langde. Su internet ho letto che è molto turistico ma non c’è nessuno, nemmeno il tizio alla biglietteria. Anche questo villaggio è spettacolare, si trova su una collina in mezzo ad una stretta vallata ed è completamente costruito in stile tradizionale Miao. Fa freddo, c’è un po’ di nebbia e una fastidiosa pioggerellina, ma mi sembra tutto bellissimo e molto cinese. E anche un po’ friulano, visto che non posso fare a meno di notare le pannocchie appese sotto i tetti e le strette stradine in lastricato, tipiche dei paesini friulani di qualche anno fa. C’è anche un matrimonio in corso ( cosa abbastanza comune da queste parti ) e alcune donne flower miao hanno un banchetto fuori dalla casa degli sposi e offrono da bere agli invitati che arrivano, proprio come facevamo anche noi friulani ( si offriva vino, salame, formaggi ). Tornando in città mi fermo a vedere un combattimento tra bufali, molto cruento, che è un altro classico di queste zone dei festival e dei matrimoni.
Dopo una settimana ero già quasi un cittadino della città, conoscevo qualche numero dell’autobus per muovermi, avevo un ristorante preferito ( col buffet a prezzo fisso per 12 yuan ) e le ragazze dei negozi mi salutavano quando uscivo a passeggiare. Ma il mio viaggio deve continuare, quindi dopo essere riuscito a comprare un biglietto del treno alla stazione tutto in cinese ( sono soddisfazioni… ) sono pronto ad andare nel “mitico” Yunnan.