E io illusa che penso ogni volta di non avere più pezzi di cuore da lasciare all’interno di un libro.
C’è ancora tanto da leggere. E tanto su cui lasciare cuore e lacrime.
Il buio oltre la siepe è uno di quei libri che ho sempre sentito nominare. Uno di quei titolo che magari ho sempre sbirciato sugli scaffali della libreria nei miei giri pomeridiani, e magari ignorato.
In una cittadina del “profondo” Sud degli Stati Uniti l’onesto avvocato Atticus Finch è incaricato della difesa d’ufficio di un “negro” accusato di violenza carnale; riuscirà a dimostrarne l’innocenza, ma l’uomo sarà ugualmente condannato a morte. La vicenda, che è solo l’episodio centrale del romanzo, è raccontata dalla piccola Scout, la figlia di Atticus, un Huckleberry in gonnella, che scandalizza le signore con un linguaggio non proprio ortodosso, testimone e protagonista di fatti che nella loro atrocità e violenza non riescono mai a essere più grandi di lei.
Poi un bel giorno ho deciso che forse è arrivato il momento di leggerlo e sapere cosa lo rende speciale.
Apparentemente sembra un libro quasi “banale”. Uno di quelli che raccontano la solita storia dei neri e della loro condizione nell’America prima degli anni 60.
Più andavo avanti con la lettura, più mi accorgevo quanto questo libro non abbia nulla di ciò che pensavo, ma ogni cosa di quello che non mi sarei mai aspettata.
Il punto di vista è quello della piccola Scout Finch, poco meno che novenne, ed è lei che racconta ogni avvenimento. Il vantaggio è quello di aver un punto di vista ingenuo e pulito, lo svantaggio è che a volte fatichi a capire cosa stia avvenendo realmente, senza quel “filtro”.
Succede allora che la prima metà del libro, la passi a chiederti se Jem e Scout penseranno mai di poter diventare grandi sul serio.
Ma a un certo punto inizi a pensare che se al mondo ci fossero più Atticus Finch qualcosa potrebbe veramente cambiare.
Quando arrivi alla fine ti rendi conto che di Atticus Finch è pieno il mondo ma non sempre sono visibili, non sempre si palesano.
A volte sono anche dei bambini, che nel loro modo ingenuo di vedere il mondo, spesso ti lasciano una chiave per guardarlo, anche se tu la nascondi sotto lo zerbino e non ci pensi più.
Di libri come quello di Harper Lee dovrebbero essercene di più, di quei libri che non pretendono di cambiare il mondo, che non raccontano casi disperati, ma semplicemente cose “quotidiane”, anche se poco belle.
Ma che lo fanno in una maniera dolce, delicata e amara allo stesso tempo, tanto da toccare le corde dell’anima e farle vibrare piano.