Silenzio. Si accende la musica, si osservano i materiali, si scelgono e ci si mette al lavoro. Ecco che prende vita un’opera d’arte. Non arte convenzionale, bensì arte che cura: un’opera di arteterapia.
Su cosa sia l’arteterapia si sentono idee di ogni genere: c’è chi pensa si tratti di un corso per artisti che hanno perso il loro estro e chiedono aiuto per “sbloccarsi”; che sia, poi, un sistema per modificare dipinti malriusciti; o, comunque, che si tratti di una prerogativa di coloro che sono bravi a disegnare.
Se si prende parte ad un laboratorio di arteterapia, in realtà, ci si sorprende a scoprire che i meno bravi a disegnare, sono coloro che meglio riescono in questa tecnica il cui scopo, di fatto, non è imprimere un di-segno, ma un semplice segno. Il segno è l’espressione più semplice di sé, quella più immediata, a cui non si è data una forma concreta ma solo quella astratta che sta racchiusa dentro se stessi. Si tratta, dunque, di una vera e propria attività pedagogica, che attiva gli aspetti emozionali del soggetto, per restituirgli il senso del proprio corpo e del proprio sentire emotivo.
“L’arte può essere definita – e utilizzata – come la mappa esteriorizzata del nostro sé
interiore”(Peter London)
Per questo, negli ultimi anni, psicologi ed educatori si sono interessati alla terapia attraverso l’arte. Innanzitutto è bene fare una distinzione sulle figure professionali che conducono i laboratori: da un lato, ci sono gli arteterapeuti, ossia dei professionisti con formazione psicologica; dall’altro, gli arteterapisti, con formazioni differenti e prettamente pedagogiche o artistiche. La differenza tra i due sta negli obiettivi: i primi si prefiggono di svolgere un’analisi neurologica del “paziente”, interpretando i meccanismi cerebrali che emergono dai suoi lavori; i secondi, invece, valorizzano le capacità di comunicazione attraverso un canale differente da quelli tradizionali, ovvero la scoperta delle emozioni interiori e la conoscenza di sé e dell’uso del proprio corpo: come mi muovo? Che effetti produce il movimento del mio corpo? Cosa sono in grado di creare attraverso di lui?
Da ciò nascono consapevolezza di sé e autostima crescente: com’è bello per una persona, ad esempio affetta da una grave disabilità, scoprire di poter creare qualcosa di unico con il proprio estro e le proprie mani; o per un bambino, osservare gli effetti di una matita, un pennello o qualche altro materiale su un foglio o una superficie.
La forza e il fascino dell’arteterapia stanno inoltre nella sua universalità: chiunque può usufruirne,
bambini, ragazzi, adulti o anziani; diversamente abili o normo-dotati. Ognuno, infatti, ha un potenziale dentro di sé, delle sensazioni e percezioni che attendono di essere svelate: la novità apportata da questa tecnica creativa nella società contemporanea, difatti, è, come dice Stefano Federici, psicologo presso l’università di Perugia, “Che la salute non è più prerogativa della sola medicina tradizionale. Che l’arte è esperta di salute, può guidarci, attraverso i processi creativi, a cogliere il funzionamento umano e a favorirne il benessere agendo su di essi”.
Il potere curativo dell’arteterapia non agisce specificamente sulla salute fisica del soggetto che ne fruisce, ma su quella umana, interiore: è un mezzo per far emergere ciò che in altro modo finisce per rimanere chiuso e segreto. L’arte è tale solo quando si apre agli altri, e il suo linguaggio permette di parlare al posto dell’artista stesso.
Non ci sono vere e proprie regole, dunque, per tale attività: è applicabile in sedute individuali o, più comunemente, in gruppi (meglio se con pochi componenti); vi è una relazione tra un conduttore e degli utenti, ma ci si trova tutti sullo stesso piano: nessuno decide per gli altri e compito del conduttore è solo quello di predisporre l’attività, lasciando invece liberi gli altri di interpretarla come meglio credono, senza pretendere la perfezione del prodotto finito, proprio perché ciò che la persona produce è il riflesso di quel che sente dentro sé e dare vita a questa interiorità è il vero grande obiettivo.
Una sola cosa è importante tenere presente, quando si avvia un laboratorio di arteterapia, per esempio in una struttura educativa: nessuno è obbligato a partecipare, perché nessuno di noi starebbe bene in un contesto percepito come una gabbia, come un dovere. In particolare l’arte, poi, trova il suo senso soltanto nel libero arbitrio, nella voglia di aprirsi e condividere qualcosa di sé. Essa non è costrizione, non è noia, ma è, anzi, un momento di raccoglimento, di naturalezza e scioltezza, a cui aderire in completa libertà.
Samantha Bionda
Bibliografia
Anna Maria Acocella, Oliviero Rossi (a cura di), Le nuove arti terapie: percorsi nella relazione d’aiuto, Franco Angeli, 2013;
Cathy A. Malchiodi, L’arteterapia: l’arte che cura, Giusti Editore, 2007