Il comune denominatore dei regimi è la guerra alla fede religiosa. Questo accade ancora oggi in Cina, guidata ufficialmente dall’ateismo governativo. L’articolista de Il Giornale è chiara: «Sono anni che la religione torna a intralciare i piani della Repubblica Popolare cinese. Come una maledizione, come una iattura, continua a bussare alle porte della gente, nonostante le torture, al di là della paura, delle minacce, del terrore».
Nonostante gli appelli di Benedetto XVI, Pechino gestisce il «suo» conclave, fatto di preti scelti direttamente dal regime. «Il governo ci prova da sempre, lotta contro i preti, le chiese, le processioni, le meditazioni. Mao voleva uno Stato ateo, senza traccia di credo religioso ma ha perso». E lo conferma l’ultima stima del professore Li Tianming, del dipartimento di teorie religiose dell’università di Renmin: «Ogni giorno sono dieci mila i cinesi che si convertono al cristianesimo». Un numero altissimo, nonostante i divieti e i campi di lavoro per «ripulire la mente». «La Cina ha due facce: quella ufficiale è atea, dall’altra parte c’è quella nascosta, che continua a crescere, che non si arresta, fatta da milioni di fedeli». Il prof. Li Tianming spiega che «oggi le religioni si stanno prendendo le loro rivincite. Si stima che ormai siano 200 milioni i credenti. A questo ritmo la Repubblica Popolare cinese diventerà il più grande Paese credente del mondo. Le persone vengono in chiesa perché si sentono felici, hanno bisogno di meditare».
È dal 2010 -continua il quotidiano- che il governo cinese ha dichiarato guerra ai cattolici e protestanti, un centinaio di credenti erano stati arrestati nel mese di dicembre, e ancora oggi una trentina di loro si trovano in carcere. Sempre uguali le tecniche di persuasione, di tortura. 1600 cinesi torturati a morte, più di 100mila detenuti in carcere, più di 25mila costretti in campi di lavoro, più di 1000 rinchiusi in ospedali psichiatrici perché credenti in Dio.