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In cornice – La collezione di Scukin

Creato il 06 febbraio 2012 da Gianpaolotorres

In cornice – La collezione di Scukin

È difficile essere guardare verso il futuro e allo stesso tempo rimanere molto legati al passato. Un problema che balza all’occhio osservando la collezione di Sergey Scukin, mercante russo di fine Ottocento, e il modo in cui la sistemò nel suo palazzo di Mosca. Scukin, arrivato a Parigi, fece incetta di opere prima degli impressionisti e poi di Matisse e di Picasso, creando una collezione assolutamente innovativa per la Russia del tempo. Alcune di quelle opere, sono in mostra al Brera di Milano; sono tutte imperdibili con alcuni picchi assoluti come le più belle “Ninfee” di Monet che mi ricordi, o un Van Gogh (“La ronda dei carcerati”), e un Picasso cubista (“Ritratto di Vollard”). Ma il curatore ha appeso anche alcune fotografie di palazzo Scukin dei tempi d’oro. Era un edificio tipico della Russia ottocentesca, tutto grandi ambienti anonimi, stucchi neoclassici, mobilio da tardo Impero francese. Scukin l’aveva voluto perché amava il suo paese e quella moda, ma era quanto di più lontano si possa immaginare dai gusti semplici e campagnoli degli impressionisti. In quegli stanzoni sfarzosi, Scukin sistemò le tele in un modo tipicamente sette-ottocentesco, come se non fossero dei Monet o dei Picasso ma dei Tiepolo o dei Tiziano. Su ogni muro definì una fascia alta 2-3 metri, di cui ogni centimetro andava riempito con quadri, per cui appendeva vicino opere di dimensioni e di soggetti molto diversi. Ma i quadri impressionisti e anche quelli successivi, vanno osservati a una distanza ben definita, che varia da un caso all’altro. Per godersi i Monet di Scukin, bisognava insomma spostarsi in continuazione avanti e indietro nei suoi stanzoni per trovare il punto giusto per vedere ciascun quadro, e così facendo ci si rovinava la visuale di quello vicino. Scukin voleva fare l’innovativo ma anche il benpensante russo, l’uomo delle avanguardie del Novecento ma anche il fedele servitore di un impero vecchio di centinaia di anni. Il risultato: un disastro artistico.

Daniele Liberanome, critico d’arte.

http://www.moked.it/unione_informa/120206/120206.html


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