Premessa: ieri sera non ho seguito Annozero. Me ne sono andata felice e contenta ad un concerto ed è stato meglio così.
Francamente questo balletto dei martiri mi sta un po’ stufando. E’ un teatrino che non mi piace, che mi irrita e che ritengo anche un po’ umiliante nei confronti del popolo dei telespettatori che ciecamente inneggiano il proprio idolo evitando di fare la cosa migliore e cioè un ragionamento semplice, con la propria testa.
E’ sacrosanto che la sospensione di Santoro sia assolutamente ingiusta: per le motivazioni, certo, ma anche e soprattutto per il fatto che dietro ad Annozero (e alla presunzione del suo conduttore) ci sono centinaia di persone che non hanno alcuna voglia di perdere il proprio posto di lavoro. Giornalisti, cameraman, sarte, truccatrici. Gente che deve arrivare a casa a fine mese con una metaforica pagnotta sotto il braccio, non miliardari come quei giornalisti che, dal poco che ho visto e vedo in giro, si sono spogliati dei panni della professionalità che dovrebbe contraddistinguerli, per indossare spumeggianti boa di struzzo, lustrini e paillettes.
Fare i martiri va di moda, vende, fa parlare. E per questa ragione un giornalista decide di farsi velina e di promuovere una campagna mediatica, fatta di slogan, appelli, messaggi registrati e inevitabili link su Fb.
“Io sono un abbonato RAI e non voglio essere punito al posto di Santoro”.
Mah.
Non so, non capisco e detesto l’uso che sempre più giornalisti stanno facendo del loro mestiere stuprandolo e rendendolo non mezzo di informazione bensì di lotta politica, premendo e incitando il solito popolo bue, utilizzando toni e slogan che starebbero meglio allo stadio che in uno studio televisivo, utilizzando davvero e questa volta il mezzo pubblico per i propri scopi.
Che non sono mai i nostri.
Noi poveracci che guardavamo Samarcanda e Il Rosso e Il Nero e proviamo struggente nostalgia, noi che aderiamo alle campagne per affetto più che per convinzione, noi che crediamo agli slogan strillati come al mercato, noi che crediamo nei martiri e che curiamo le loro ferite sanguinanti con la nostra comprensione e che continuiamo a lottare per loro.
Noi, che alla fine ed inevitabilmente finiamo ancora una volta in croce.