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In difesa della Grande Bellezza, e non solo.

Creato il 05 marzo 2014 da Alessandro Manzetti @amanzetti
In difesa della Grande Bellezza, e non solo.     Ieri sera, come molti di voi, mi sono sintonizzato su Canale5 per vedere "La grande bellezza", il fim di Paolo Sorrentino che, dopo aver vinto il Golden Globe come miglior film straniero, il BAFTA come miglior film in lingua straniera, quattro European Film Awards e diversi altri premi, si è aggiudicato anche l'Oscar come miglior film in lingua straniera. Le aspettative erano di incertezza, avevo letto moltissimi commenti negativi, parlo di spettatori e non della solita critica cinematografica, e non mi aveva affatto entusiasmato il celebrato "Il Divo", il film di Sorrentino del 2008 che aveva ricevuto il Premio della giuria al Festival di Cannes 2008, oltre ad altri premi.   Condivido in gran parte l'intepretazione di Carlo Verdone su questo film (nonostante l'attore sia a mio avviso una delle poche note stonate della pellicola), La grande bellezza non vuole parlarci di Roma, tantomeno dell'Italia attuale e della sua deriva trash, almeno non sono questi gli obiettivi principali di Sorrentino. La grande bellezza è qualcosa di sfuggente che tutti continuiamo a rincorrere, arrivando lentamente alla stanchezza, alla disillusione, alla omologazione. Parlo della felicità, ma in senso puro. E questo sentimento, come tutto il percorso che facciamo nella nostra vita, conscio o inconscio, è universale. Forse per questo il film è stato apprezzato anche fuori dai nostri confini.
Verdone, in una intervista, afferma che La grande bellezza di Sorrentino è la giovinezza, ed è vero. Ma va ristretto il campo, è quel momento della nostra giovinezza in cui tutto sembra possibile, dal primo grande amore che sta per esplodere, al mondo che ci sembra nelle nostre mani. Per ognuno di noi quel momento "speciale" è diverso, in senso temporale, ma è facilmente distinguibile se torniamo indietro nel tempo con la memoria. Quel breve periodo della nostra vita dove sentivamo di pulsare, dove la luce aveva un diverso colore, come tutto quello che ci circondava. La felicità, forse, è quel periodo, un aggregato di momenti concentrati nel tempo. Poi arriva la vita vera, e tutti pensiamo di poterla afferrare più saldamente quella felicità, mentre invece non può far altro che allontanarsi progressivamente, fino al giorno in cui, senza rendercene conto, l'abbiamo dimenticata del tutto.   Sorrentino racconta tutto questo in pochi secondi di pellicola, quando il protagonista, Jap Gambardella (interpretato da un grande Toni Servillo) è giovane, in un mondo in bianco e nero, con il suo primo amore che lo osserva. Non servono i colori alla felicità, alla giovinezza, sono già dentro. Sarà solo nella maturità del protagonista, quindi nella storia che il film ci racconta, che esplodono i colori, con una fotografia sublime, che sottolinea ancora di più il contrasto con il mondo in bianco e nero che si è ormai insediato dentro. La disillusione, il cinismo. La rabbia che la felicità, come la giovinezza, è sfuggita via troppo velocemente, senza lasciarci altro, se non un lento e progressivo scolorimento. Questa disillusione, il mancato arrivo da qualche parte della nostra vita, i ricordi che restano sempre più lontani è sfumati, la giovinezza abortita, sono i veri protagonisti della storia di Sorrentino, tutto il resto è di contorno. Il volto di queste emozioni cronicamente malate è quello di Jap Gambardella, ma Sorrentino insiste nei contrasti e inserisce a fianco di una grande solitudine, di una scontata sconfitta, le feste, la mondanità, gli amici, il surrogato di sentirsi vivi.   La grande bellezza non racconta Roma, la città eterna è il simbolo del tempo per eccellenza, il tempo che lascia svanire la nostra giovinezza, la felicità pura. Le tante inquadrature con i monumenti e le opere d'arte, rappresentano il solido testamento del tempo, di bellezza perduta che ci circonda. Un'assedio vero e proprio. Non a caso le diverse scene che vedono protagonista il Tevere, lasciano intendere la metafora di qualcosa che scorre via, continuamente. Questa non vuole essere una recensione, ma solo una istantanea delle emozioni che il film mi ha suscitato. Tanto materiale emotivo e visivo di grandissima qualità, per tutta la prima parte della pellicola, che mi ha lasciato pensare al capolavoro. Peccato per la seconda parte, non perfettamente riuscita, che avrebbe potuto completare l'opera, le premesse e le idee c'erano tutte. Capolavoro quasi incompiuto, dunque, ma grandissimo film, che lascia tornare indietro nel tempo lo spettatore, alla sua personale grande bellezza. Emozioni contrastanti, tra ricordi e disillusioni, specie per chi ha già percorso un bel pezzo della propria vita.         Dopo aver visto il film, sono rimasto dunque stupito dalla reazione così negativa di tanti spettatori, mentre per tante altre opere e boiate propinate dalla cinematografia italiana hanno risposto assecondando passivamente (vedi incassi dei cinepanettoni e simili), senza nemmeno sforzarsi di criticare o dire la propria. Non è poi così strano, questo atteggiamento, pensandoci bene. Se l'arte deve essere solo semplice intrattenimento, se non deve far pensare ma solo banalmente divertire, nel cinema come anche in letteratura, allora si comprende tutto. Dalla crisi (qualitativa) dell'editoria e del cinema italiano fino agli incassi miliardari degli action-kolossal impacchettati dalla cinematografia americana o dei reality show.   Ho letto centinaia di commenti su questo film, davvero deliranti, quelli che contestano ardentemente l'opera "perchè non c'è una storia" (ma cosa si intende per storia? Quella banale del tipo A+B+C del cinema americano o del cinepanettone?) oppure quelli che hanno cambiato canale dopo dieci minuti (!) ,perchè il film secondo loro è "triste, noioso, lento" (ma deve essere a tutti i costi veloce, superficiale e comico un film?), non riuscendo a comprendere il "cuore" della storia, che è una emozione, non una semplice "vicenda". Il dolore, la solitudine, l'amore perduto, la disillusione, non devono essere rappresentate nell'arte? Perderemmo gran parte del nostro patrimonio artistico mondiale, pensandola così. Cosa ci resta invece, nell'arte, della violenza e del sesso gratuito, degli effetti speciali, di alieni giganti, di sceneggiature clonate? Roba da dieci minuti, appunto.   Ho scoperto molti esperti di cinematografia, che leggendo qualche articoletto in giro, seguendo il processo elementare A+B=C hanno equiparato La grande bellezza a una dolce vita felliniana riverniciata, adattata ai nostri tempi.  Paragoni davvero inutili e fuorvianti. Ma poi, quanti di questi spettatori si sono davvero "divertiti" tanto vedendo i film di Fellini? Li hanno visti davvero? Perchè non è che siano pieni di esplosioni, di effetti speciali, di "vicende". Raccontano emozioni, in modo diverso da Sorrentino, oltretutto con una interpretazione onirica e surreale ancora meno immediata de La grande bellezza, che si rivela molto più "pop", volendola definire così per facilità. Cosa accomuna veramente questi due registi, questi due film? Molto poco, hanno obiettivi diversi, escludendo  dei piccoli omaggi a Fellini che Sorrentino ha voluto far passare nella sua sceneggiatura. La grande bellezza, rispetto a La dolce vita è un'opera agli antipodi.   Insomma, peccato riscontrare tutto questo ostracismo, proprio in casa nostra, verso un'opera italiana di qualità, mentre di fronte a tutte le boiate dalle quali siamo bombardati, si è completamente proni, ci si adegua silenziosamente. Ma davvero siamo questo? Ci ribelliamo solo alla bellezza?        

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