Anna Lombroso per il Simplicissimus
Sono seduta in bilico su una sedia dell’unico bar intrepido di piazza San Giovanni. C’è il gran sole delle manifestazioni quello carico d’amore. Ma insieme al ruggito del corteo si sentono grandi botti. Non so quanti sono per la questura e non so quanti sono per gli organizzatori. E non sono mai stata brava nella contabilità. E nemmeno nel distinguere questi suoni inquietanti: molotov? Lacrimogeni? Così vi racconterò solo le facce e le voci.
Arrivano dalle strade che convergono sulla piazza. Tanti. Non solo giovani, non solo ragazzi e non solo genitori. Forse è la prima volta che il futuro dei ragazzi non riguarda solo chi li ha fatti. C’è della gente come me che ne sente l’amoroso e doloroso carico non essendo madre o padre. Arrivano con facce fiere e spaurite, circolano notizie piene di amari allarme, macchine incendiate, vetrine delle banche sfondate, negozi saccheggiati. Si ci sono due facce del corteo, queste famiglie coi ragazzini, insegnanti coi loro studenti, ragazzi rabbiosamente orgogliosi. E poi, si dice, incappucciati implacabili. E i botti si susseguono e la piazza però si riempie piano e c’è chi dice che un po’ di compagni si sono rifugiati nei parchi nella bella villa celimontana o colle oppio aspettando che tutto si calmi per tornare ai bus e stanno stesi sull’erba come fossero in gita, ma tristi. e dicono che hanno sfondato in due ministeri. e dicono che ci sono fiamme in giro. e dicono che quelli che si sono messi i caschi nessuno li conosceva anche se erano mecolati a loro. e dicono, quelli che arrivano in piazza, che qualcuno lo hanno spinto via di brutto. si si i compagni – perchè si chiamano così accidenti!!! – li hanno esplusi dal corteo anche la a via labicana e anche più su.
E si c’è gente arrabbiata che dice dovevamo aspettarci che succedesse: dicevate se non ora quando, quando è adesso, quando è che ormai non è una notizia da sociologi o da commentatori di repubblica, quando è che non siamo indignati siamo disperati. C’è quello che mi dice, sono del Pd e sento il peso di questa impotenza vigliacca, cosa pensi che non sapessi che un tempo avremmo fatto un servizio d’ordine, saremmo stati tra la gente, avremmo esercitato vigilanza, ma qua a noi nessuno ci vuole. C’è la insegnante che racconta che stamattina ha parlato con i suoi allievi e ha detto andateci anzi veniteci alla manifestazione, la fate in nostro nome e noi ci siamo in vostro nome. Ma è preoccupata perché sente quei botti e dice: so’ regazzini, e ce li ho fatti venì io e se poi gli succede qualcosa? E due le rispondono che loro di botte ne hanno prese tante volte e poi si dimenticano. Ma che non poteva andare diversamente: a forza di dire che c’era pericolo sono rimasti a casa quelli civili e sono venuti gli “agitatori”. E un altro: e che civiltà è quella di chi sta a casa? E intanto arrivano piano con i loro slogan: non siamo indignati siamo incazzati. I Draghi siamo noi. Ladri ci avete rubato il futuro. E sorridono questi perché la rabbia mica toglie il sorriso. E da qualche parte dicono invece ci sono incendi e rovina. Ma, dice un ragazzino, oggi almeno si grida e si respira ci avevano tolto il fiato.
Non so se dall’altra parte c’è di pietro e se c’è vendola, da qui non li vedo, ma quel palco ha un’aria vecchia sembra un attrezzo teatrale, un palcoscenico rimasto là da quando ci lasciavano festeggiare il primo maggio, festa del lavoro che non c’ è,. ma la festa c’è ci sono belle facce un po’ spaurite ma fiere e belle bocche che gridano irridenti e un sole ancora caldo, e una specie di respiro, di sollievo di vita