Con due soli giorni di riprese a disposizione e millecinquecento metri di pellicola vergine ciascuno, cinque maestri della Settima arte, cinque registi sperimentati e cinque poco più che esordienti per raccontare sullo schermo la storia di un addio tra un uomo interpretato da Massimo Wertmüller e una donna con le fattezze di Elena Sofia Ricci, ricorrendo di volta in volta, quindi, a uno stile e genere diverso.
È la scommessa su cui, nel 1996, venne costruito Esercizi di stile, lungometraggio collettivo ideato dallo stesso Francesco Laudadio che provvede anche ad aprire le danze tramite il suo omaggio al classico del cinema western Duello al sole di King Vidor; prima di lasciare spazio al muto bianco e nero di Luigi Magni e al giallo di Lorenzo Mieli.
Lungometraggio collettivo che, sulla falsariga dell’omonimo testo letterario scritto da Raymond Queneau, rivelatore delle possibilità che ha la letteratura di narrare e trasfigurare uno stesso evento, sotto la regia di Pino Quartullo prosegue attraverso una divertente parodia dei musicarelli che ebbero per protagonista Gianni Morandi (con tanto di esecuzione canora di Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte), per poi passare al poliziesco di Alessandro Piva – comprensivo di piccolo ruolo per lo storico maestro d’armi (Sal)vatore Borgese – e alla fantascienza futuristica di Faliero Rosati.
Se al maestro della Commedia all’italiana Dino Risi spetta, invece, l’assurdo rapporto tra uno scrittore e Myriam, personaggio dei suoi romanzi, Maurizio Dell’Orso affronta il neorealismo bellico con una vicenda ambientata nel 1943 e Alex Infascelli s’immerge nei costumi del XVIII secolo.
Sergio Citti, come di consueto, sfodera la sua inconfondibile, grottesca poetica di periferia inscenando un balletto tra le baracche, mentre Volfango De Biasi si dedica ad una gangster story e Cinzia TH Torrini propone un soggettino dai risvolti horror e, addirittura, splatter.
E, sempre rimanendo nell’ambito dei filoni d’intrattenimento, Claudio Fragasso ci regala l’azione con post-rapina, precedendo la comica chapliniana di chiusura a firma di Mario Monicelli.
Nel corso di un collage di celluloide che, riscoperto su supporto dvd da Ripley’s Home Video, si rivela interessante soprattutto perché consente di apprendere in che modo, all’epoca della sua realizzazione, oggi scomparsi veterani del settore riuscivano ancora a riciclarsi dietro la stessa macchina da presa a cui, appunto, cominciavano ad avvicinarsi, contemporaneamente, cineasti affermatisi in seguito.
Una conversazione di sei minuti – a cura del critico cinematografico Tatti Sanguineti – con il citato autore de I soliti ignoti correda il disco nella sezione riservata ai contenuti speciali.
Francesco Lomuscio