In nome di una semplificazione la Commissione Europea ha ipotizzato di liberalizzare l'utilizzo dei nomi che erano riservati solo ad alcuni vini. In particolare vini come Barbera, Brachetto, Cortese, Fiano, Lambrusco, Greco o Nebbiolo, che sono stati registrati e protetti a partire dagli anni '60 e '70 e per cui la DOP è costituita dal nome del vitigno autoctono affiancato dal nome della regione geografica di produzione, subirebbero in questo modo una concorrenza da coloro che utilizzano vini prodotti in altri Stati.
I nostri vini sono tra i più prestigiosi e apprezzati al mondo e quindi tra quelli che rischiano maggiormente contraffazioni o l'uso improprio del nome. La liberalizzazione favorirebbe, ad esempio, la comparsa sul mercato di un vino coltivato e imbottigliato in un paese europeo con l'indicazione Barbera sull'etichetta. I rischi sono anche ti tipo economico: infatti, secondo uno studio di Coldiretti, i vini identificati da denominazione che rischiano di essere contraffatti, avrebbero un valore di almeno 3 miliardi di euro.
La buona notizia è che la bozza della Commissione è stata bloccata ma sappiamo che l'atto è ancora sulla scrivania del Commissario. Il mio livello di guardia sul tema, anche se non faccio parte della commissione Agri, rimane altissimo perché le eccellenze del nostro Paese devono essere difese da aggressioni commerciali di ogni tipo. Dietro un'etichetta non c'è solo un vino: c'è un territorio, c'è una storia, c'è una cultura, c'è una tradizione.
Possiamo dire di aver vinto una battaglia ma l'esito finale non è scontato e non dobbiamo distrarci.